Una giovane vita, anzi giovanissima, ma già «INGANNATA» dalle follie gender. Una vita, però, che è riuscita a rimettersi in piedi, a tornare indietro, per quanto possibile. Una vita, dunque, che ora è una testimonianza.
Stiamo parlando di Luka Hein, una giovane oggi 22enne, originaria del Nebraska, negli Stati Uniti, una cosiddetta “Detransitioner”, ovvero una persona che ha in un primo momento intrapreso e portato avanti per anni la transizione di genere e ha poi deciso di tornare indietro. E proprio Luka sarà presto in Italia, per il primo tour-testimonianza mai organizzato nel nostro Paese, su iniziativa di Pro Vita & Famiglia onlus e dal titolo “INGANNATA - Perché nessuno è nato nel corpo sbagliato. Nemmeno io”. Un ciclo di incontri, convegni e conferenze dall’11 al 27 ottobre.
Ma chi è Luka? Quali tappe – e drammi – ha affrontato nella sua vita? Il suo caso non è molto dissimile da tanti altri ragazzini, che vengono purtroppo instradati verso questa folle deriva. Da adolescente, infatti, inizia a vivere un profondo stato di disagio, in particolare dovuto al divorzio dei suoi genitori e al conseguente conflitto con la sua famiglia.
A circa 13-14 anni, Luka attraversa, appunto, la crisi esistenziale più profonda della sua vita. Dopo il divorzio dei genitori, la ragazza tende a chiudersi sempre più in se stessa. La navigazione con il proprio smartphone la isola dal mondo e le fa scoprire una sorta di “Paese dei balocchi”: il microcosmo luccicante del web che le racconta di un mondo che, nella realtà, non esiste affatto.
Luka, dunque, finisce nel vortice di gruppi di discussione e chatroom di adolescenti e giovani con disagi, confusione, incertezze giovanili, ma totalmente traviati da adulti e dal solito “mantra” Lgbtiqia+ che, approfittandosi dello stato di fragilità dei ragazzi, iniziano a prospettare loro la possibilità di una transizione di genere che, a loro dire, metterebbe fine a tutti i loro tormenti.
La giovane americana vive uno stato di dissociazione pressoché totale prima a livello mentale, poi anche fisico. Al primo anno di liceo, preso contatto con quelli che a lei stessa furono presentati come «professionisti della salute mentale», affronta un programma di psicoterapia (rivelatosi, con il senno del poi, particolarmente superficiale), che, invece di indagare sulle cause profonde del suo disagio, la instrada quasi immediatamente alla transizione.
Sui vari social e canali online, Luka raccoglie indicazioni e suggerimenti che vanno dal disprezzo verso il proprio ciclo mestruale, al disagio verso la crescita del seno, dei fianchi o di qualunque tratto fisico femminile. Persino a scuola la ragazza incontra sempre insegnanti accondiscendenti verso la sua identità di transgender. Anche i genitori di Luka ricevono riscontri pressoché univoci: la strada della transizione - si sentono dire - è quella giusta, l’unica e quell’inclinazione va assecondata. Medici e psicologici arrivano a fare affermazioni ai limiti dell’intimidatorio: «Preferireste avere una figlia morta o un figlio vivo?». In definitiva, Luka vive il proprio disagio nel contesto di un clima di propaganda e di pensiero unico, in base al quale la transizione di genere è sempre un bene per i giovani disforici e, a riguardo, non c’è alternativa.
Da notare che Luka non ha mai assunto bloccanti della pubertà. In compenso, a 14 anni le viene prescritto un anticoncezionale ormonale per bloccare il ciclo mestruale, mentre a 15 inizia a fasciarsi il seno per non farlo vedere. Una vera e propria transizione sociale, dunque.
Poi, a 16 anni, il passo più importante e tragico: la transizione chirurgica. Arriva infatti la doppia mastectomia e pochi mesi dopo l’operazione l’inizio dell’assunzione massiccia e continuativa di testosterone, che le induce anche una sorta di menopausa artificiale e anticipata.
Passano più di quattro anni e intanto Luka cresce, non è più adolescente ma inizia a diventare adulta, dunque a guardare le cose e la vita con una prospettiva molto più matura, razionale, lucida. Ecco quindi che capisce che quel passo così radicale lo aveva fatto non tanto per liberarsi della propria femminilità, ma più che altro per la parvenza di proteggersi dai suoi disagi e dalla minaccia rappresentata da maschi predatori.
In cuor suo, dunque, Luka inizia a desiderare una detransizione ma, in quel momento, quell’opzione appare ancora utopica, vuoi per l’assenza di proposte concrete in quella direzione, vuoi per l’assenso unanime di chiunque (medici, amici, scuola) verso la transizione di genere. A lungo andare, la giovane si ritrova sola contro tutti. Il prezzo da pagare, tuttavia, è enorme anche in fatto di salute fisica: l’assunzione di testosterone le procurava dolori articolari e non solo e alcuni suoi tratti, nonché la stessa voce, sono definitivamente mascolinizzati. A poco a poco, Luka inizia a diradare le somministrazioni di testosterone, fino a sospenderlo definitivamente a 20 anni.
I desideri della ragazza iniziano a marciare in direzione diametralmente opposta ai primi anni dell’adolescenza, a partire dal desiderio di sentirsi connessa con il proprio corpo, non con frasi o pratiche che confermassero la dissociazione dal fisico stesso. A quel punto Luka desidera sapere come funziona realmente il proprio corpo in quanto donna. Non vuole più rifugiarsi in surrogati di felicità rappresentati da una transizione che tutto la rendeva tranne che felice.
Oggi Luka è consapevole che la vita diventa migliore quando comprendi che ogni persona è il proprio corpo e non il corpo immaginario determinato da un fisiologico disagio legato alla crescita. Lei stessa racconta: «Forse qualche quattordicenne che sta per fare qualche sorta di coming out e pretendere di ricevere ormoni si prenderà qualche minuto per pensare: forse dovrei aspettare. Perché sono sinceramente convinta che se solo avessi aspettato fino a quando sarei stata stabile, e se avessi ricevuto le cure psicologiche di cui avevo bisogno e se avessi soltanto aspettato, aspettato fino a quando avessi raggiunto una stabilità, fino a quando non avessi dovuto assumere antidepressivi. . . sarei stata meglio».
Le difficoltà che Luka ha incontrato nel suo percorso da detransitioner risiedono soprattutto nella cappa ideologica che regna in questi anni negli Usa e in buona parte dell’Occidente. Chi sceglie di tornare sui propri passi – consapevole che il proprio corpo non è quello sbagliato, così come determinato biologicamente - viene quasi sempre minacciato o deriso. Come sostiene la stessa Hein, i detransizionisti sono considerati una sorta di “apostati” della nuova religione arcobaleno che si adatta plasticamente alle insicurezze ataviche tipiche delle nuove generazioni.
Hein è oggi una donna completamente diversa dall’adolescente traumatizzata e disorientata di qualche anno addietro. Ha avuto innanzitutto il coraggio di fare marcia indietro rispetto a una scelta di vita intorno alla quale avrebbe avuto la sicura approvazione della maggior parte di amici e conoscenti ma che - fatto non scontato da parte sua averlo intuito - non le avrebbe dato la felicità. Hein è quindi diventata un’attivista schierata con quelli che, dall’altra parte della barricata, chiamano “reazionari” ma che, in realtà, hanno semplicemente optato per la verità e per la libertà.
Una vita da attivista che l’ha portata in giro per gli Usa e a diventare virale sulla Rete e sui social con le sue testimonianze e che ora, appunto, la porterà per la prima volta in Italia. Una prima volta per lei, ma anche per un evento di questo tipo: un’operazione-verità che toccherà varie tappe in tutta la Penisola con incontri, convegni e conferenze, dall’11 al 27 ottobre 2024.