02/03/2022 di Manuela Antonacci

Come una prof ha smantellato l’uso dello schwa

«Non è giusto adottare lo schwa, perché lo schwa è un’invenzione posticcia, creata in seno alla lingua scritta […] Non si può pensare di cambiare a livello morfologico, strutturale, una lingua che è già normata e che è in uso, con la quale comunichiamo». Così inizia l’intervento della professoressa Mariangela De Luca, insegnante di italiano e autrice del libro "La lingua parla (di te). Perché parlare e scrivere bene ti aiuta a vivere meglio".

La professoressa De Luca, intervistata da Linus e da Nicola Savino a “Deejay chiama Italia”, su Radio Deejay, ha parlato dell’evoluzione della nostra lingua e dell’utilizzo dello schwa (ə) in italiano, chiarendo come l’uso di tale desinenza sia sbagliato per indicare le persone. Il segno grafico, infatti, viene utilizzato da alcuni per rendere neutri i sostantivi, in nome di un ipotetico rispetto verso tutte le identità di genere, ovvero in modo tale che, anche a livello linguistico, scompaia ogni traccia di binarismo maschile/femminile.

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Il perché è presto detto ed è anche una banale e semplice evidenza. Come spiega la professoressa, «L’italiano è una lingua binaria, non conosce il neutro, che è il genere delle cose […] e in questo lo schwa rivela tutta la sua disfunzionalità: se noi vogliamo portarlo nella lingua orale, non riusciamo a pronunciarlo».

Dunque un’operazione forzata che, tuttavia, qualcuno vorrebbe imporre, anche in documenti ufficiali, come un caso recente che ha interessato il Ministero dell’Istruzione, in particolare all’interno degli esiti di una procedura concorsuale universitaria. Prassi, fortunatamente, che non incontra certo il favore dei linguisti, per i quali il cambiamento linguistico non è mai frutto di un’operazione compiuta a tavolino, come ha sottolineato anche Claudio Marazzini, Presidente dell’Accademia della Crusca, in molti suoi discorsi e in un’intervista esclusiva a Pro Vita & Famiglia. Nelle scorse settimane, inoltre, sono state molte le petizione e le prese di posizione contrarie, anche da parte di noti accademici e professori universitaria, come anche la petizione lanciata da Pro Vita & Famiglia che, in pochi giorni, ha raccolto oltre 35mila firme.

Peraltro la non discriminazione e il concetto di tolleranza non possono passare attraverso storpiature linguistiche che, anzi, rischiano di ridicolizzare certe “battaglie”, come anche l’uso della desinenza “u” in luogo del maschile e femminile. E questo lo ribadisce anche la professoressa De Luca, chiudendo il suo intervento a “Deejay chiama Italia” con una domanda retorica: «Davvero il riconoscimento dell’identità e la sua valorizzazione possono essere relegate ad un’afasia, ad un vacuum vocalico? Cioè io per riconoscere qualcuno devo dire “quest”? No, voglio pronunciare il nostro maschile che è inclusivo e in questo non c’è niente di sessista».

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