Cura, rispetto, nutrimento, amore dovrebbero essere garantiti ai più deboli, ai bambini in primis, fin dall’istante del concepimento, fin da quando sono zigoti, morule, blastocisti, embrioni...
Cambia il nome, ma non cambia la sostanza sono esseri umani, individui unici, irripetibili, perciò con una dignità somma, un valore inestimabile.
I nostri primi mille giorni di vita (dal concepimento al secondo compleanno) meritano la massima protezione e il massimo rispetto. Che lo si dica qui a ProVita non sorprende. Ma che lo affermi l’Unicef, in una campagna di cui abbiamo già parlato qui, è molto significativo.
Sappiamo bene, infatti, che negli organismi internazionali è infiltrata la cultura della morte. La stessa Unicef spesso si è pronunciata in favore dell’aborto e della contraccezione, spesso assume posizioni ideologiche e svolge attività “umanitarie”che poco sono consone a garantire la salute psico fisica dei bambini. Da ultimo, poi, l’organo ufficiale dell’Onu, che si dovrebbe impegnare per la «tutela dei bambini», ha promosso ufficialmente e apertamente la loro uccisione attraverso l’eutanasia, in Canada (parole pronunciate a Ottawa davanti al Parlamento da Marvin Bernstein, avvocato, filantropo e Chief Policy Advisor di Unicef Canada).
Insomma, il fatto che un ente per nulla pro life come l’Unicef abbia fatto questa campagna sui “1000 giorni d’oro”, dal concepimento al secondo compleanno del bambino, quindi, è abbastanza indicativo. Cosa ne dicono quelli che ancora dubitano del diritto alla vita del “grumo di cellule” e sostengono la disponibilità e manipolabilità dell’embrione fino al momento dell’impianto?
Su Avvenire di qualche giorno fa, l’illustre neonatologo Carlo Bellieni poneva la questione a scienziati come Stuart Derbishire, o Annie Janvier che sostengono che i neonati, in qualche modo, in quanto “minus habentes” rispetto agli adulti non sentano dolore, e debbano essere trattati con meno garanzie, per quel che riguarda le decisioni di fine-vita, “anche per quel che riguarda il diritto alla presenza dei genitori, alla analgesia, ad un ambiente ospedaliero salutare, rispetto ad un bambino di dieci anni (cfr. Ethical Dilemmas for Critically Ill Babies, Springer, 2016). Figurarsi allora come vengono trattati il feto e l’ embrione, che ricevono dignità solo quando la cronaca racconta tragiche storie di scambi di embrioni o di morti colpose fetali, e in questi casi i media parlano di «perdita di un bambino», mentre per ogni altro riferimento al periodo prenatale si sottolinea sempre che si parla di “progetto” di vita”.
Eppure, la scienza dimostra che subito dopo il concepimento comincia il dialogo tra madre e quel mucchietto di cellule. Esso chiede al corpo della madre di lasciarlo passare: il figlio geneticamente è “estraneo”, “altro da sé”, entità diversa dal corpo materno. Dovrebbe rigettarlo come fosse un batterio, un virus, invece il “grumo di cellule” le comunica che è un “invitato”...
Cellule e molecole fetali resteranno lì per anni, dopo la nascita del bambino, a memoria incancellabile e talora anche terapeutica (sono cellule staminali che la madre assume ‘gratis’). I feti in grembo sanno rispondere agli stimoli acustici della voce della mamma, i figli delle ballerine che avevano continuato a danzare durante la gravidanza chiedono, per addormentarsi, di essere cullati in maniera più energica degli altri; i gusti alimentari si formano già in gravidanza, perché il sapore di quello che la madre mangia arriva, filtrato dalla placenta, nel liquido amniotico in cui il feto vive e, di qui, alla sua bocca.
Anche gli stress e i maltrattamenti che subiamo nei nostri primi mille giorni sono impressi in modo indelebile in noi. Addirittura capaci di modificare il modo in cui il nostro Dna si esprimerà per il resto della vita, causando alterazioni della soglia del dolore o malattie cardiache: lo sanno coloro che promuovono l’utero in affitto, il congelamento e lo scongelamento degli embrioni, il prelievo di cellule dagli stessi per fare le analisi pre-impianto?
Quindi, ciò che dicono alcuni luminari, come Umberto Veronesi, che la tutela dell’embrione è solo una questione religiosa (cattolica) non sta proprio in piedi. In certi contesti evidentemente non parla la voce della scienza, ma quella dell’ideologia.
Bellieni scrive che “anche a livello psicologico il feto marca con la sua presenza la psiche materna e risente delle emozioni della gestante tanto da restarne a sua volta marcato: vari studi mostrano gli effetti pericolosi per lo sviluppo mentale del bambino di una depressione materna durante la gravidanza. La gestazione modifica profondamente la psiche materna anche per vie ormonali; per esempio, tramite la produzione di ossitocina, l’ ormone che determina l’ attaccamento al feto”. Siamo certi, allora, che la cessione volontaria di un bambino per denaro non avrà alcuna ripercussione sulla madre “portatrice”?
“Quei mille giorni dal concepimento sono mille giorni sacri: se non pensate che lo siano per motivi morali, sappiate almeno che sono mille giorni sacri per la medicina“ (checché ne dica Veronesi).
L’embrione umano è una persona, un nuovo individuo, che si forma con il concepimento: è un organismo nuovo, irripetibile, con propria identità biologica e genetica, che manterrà ben oltre la nascita, per tutta la vita. Ha 46 cromosomi, 23 ricevuti dal padre e 23 dalla madre, possiede un proprio DNA, sempre lo stesso dal primo giorno del concepimento, fino alla morte. Dal primo momento l’embrione si sviluppa in modo unitario, coordinato, continuo e graduale; non è persona in “potenza”, è già persona, in attesa di maturare il manifestarsi delle capacità proprie di un essere della specie umana (come neonato è già persona, anche se ancora non sa camminare...).
Per potere utilizzare gli embrioni nelle sperimentazioni, e per poterli eliminare impunemente quando considerati scomodi, per assecondare le case farmaceutiche produttrici degli anticoncezionali, la principale associazione dei ginecologi degli USA decise – ideologicamente, non scientificamente – nel 1965 di cambiare la definizione di gravidanza e stabilì in modo arbitrario, contro ogni evidenza scientifica, che l’inizio della gravidanza era nel momento dell’annidamento dell’embrione nell’utero (quindi 7-10 giorni dopo che la gravidanza è effettivamente cominciata).
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) un decennio dopo fece sua questa antiscientifica e criminale decisione e molti Paesi occidentali si sentirono giustificati nel promulgare leggi che hanno causato e continuano a causare, direttamente o indirettamente (con mezzi chimici, meccanici, fecondazione in vitro, ecc.), la morte di milioni di esseri umani.
Qualcuno parla di 6 milioni di bambini abortiti dall’entrata in vigore della legge 194: se consideriamo anche le vittime dell’aborto chimico e farmacologico, della “contraccezione d’emergenza”, della fecondazione artificiale, il numero dei morti cresce a ritmo esponenziale.
Le relazioni della Sanità parlano di un centinaio di migliaia di aborti in un anno: chi si è industriato in calcoli statistici sul numero totale dei morti, parla di circa un milione e trecentomila bambini morti in un anno, senza contare le vittime della minipillola e delle pillole progestiniche (Comitato Verità e Vita).
In laboratorio, quando si coltivano delle cellule, per esempio di un tessuto cutaneo, o un organo, per esempio un fegato, queste – è vero – “si moltiplicano da sé”, perché sono cellule “vive”. Ma il tessuto, se era tessuto, tessuto resta, tessuto resterà. Aumenta per quantità, ma la sostanza è quella.
L’embrione, a cominciare dalla prima unica cellula risultante dalla fusione dei gameti, lo zigote, non resta uguale a se stesso. Nel suo processo moltiplicativo, come un direttore d’orchestra, sviluppa e trasforma le sue parti, restando sempre un tutto coordinato, perché è un organismo completo.
Come il neonato cresce e diventa adulto senza diventare qualcun altro, così l’embrione cresce e si sviluppa, senza trasformarsi in un altro: “Nell’embrione esistono già in atto tutti i caratteri essenziali che lo contraddistinguono come individuo umano” (Ramon Lucas Lucas). Non ci sono salti qualitativi o mutamenti sostanziali, nessuno scienziato potrà mai dirlo; ci sono certo dei passaggi importanti: l’annidamento in utero, la formazione di organi, ma in continuità tra un passaggio e l’altro. Rimane, sempre e ininterrottamente, lo stesso identico individuo.
Un individuo che già 18 giorni dopo il concepimento, lungo 3 o 4 millimetri in tutto, possiede un cuore che batte.
Francesca Romana Poleggi
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