Persino una semplice discussione in merito ai dati Istat sulla violenza alle donne può degenerare in accuse di “patriarcato”. E agitare lo spauracchio di fantomatiche minacce al ‘diritto all’aborto’, andando così a toccare uno dei totem inviolabili di un certo femminismo.
È quanto successo, a seguito della tavola rotonda online sul tema Mancato riconoscimento dei diritti all’interno della famiglia e genesi della violenza, promossa dal Comune di Civitanova Marche un paio di settimane fa. Un dibattito assolutamente pluralista e rappresentativo di tutte le posizioni: sul fronte pro life è intervenuto Giuliano Guzzo, ricercatore, giornalista e collaboratore di varie testate, tra cui Pro Vita & Famiglia. Una figura troppo di parte, secondo le femministe marchigiane. C’è chi, come la consigliera d’opposizione Mirella Franco (PD), non perdona a Guzzo il riferimento agli «uomini maltrattati». «È mancato poco ci propinasse anche la teoria che ‘in fondo la donna la violenza un po’ se la va a cercare’. Benvenuti nel Medioevo», ha dichiarato la Franco.
Quello di Civitanova Marche è diventato un vero e proprio caso politico. Al punto che ben 54 donne militanti del PD maceratese hanno firmato una dichiarazione in cui si accusa la giunta di Civitanova di aver «strumentalizzato» la questione della violenza sulle donne, invitando un opinionista come Guzzo che, in altre circostanze, aveva affermato che «l’aborto è la prima causa di femminicidio». Su questa vicenda, l’assessore alla Famiglia, alla Comunità e all’Istruzione, Barbara Capponi, principale promotrice del dibattito, sarà chiamata a rispondere in un’interrogazione consiliare. A Pro Vita & Famiglia, l’assessore Capponi ha illustrato la sua versione dei fatti.
Assessore, le militanti del PD che contestano l’intervento di Guzzo, lo accusano per le sue posizioni antiabortiste. Come sono andate realmente le cose?
«L’argomento aborto non è stato minimamente sfiorato durante la nostra videoconferenza. Il tema era la violenza sulle donne e l’abbiamo agganciato a quello dei diritti dei bambini. Il dottor Guzzo ha fatto un intervento sulla violenza alle donne ma ha anche citato dei dati Istat a riguardo, in una prospettiva educativa, nello spirito dell’intero incontro. C’è un problema di violenza che va sicuramente risolto, ma che va affrontato a livello di mentalità: Guzzo aveva dato un input a livello generale proprio su questo. Ciò ha creato il malcontento di taluni che hanno strumentalizzato la cosa e avanzato interrogazioni a cui dovrò rispondere in Consiglio Comunale. La cosa incredibile è che è stato strumentalizzato il nome del relatore per le sue posizioni pro life e per la sua appartenenza al Movimento per la Vita. Trovo che questa sia stata una cosa veramente avvilente. Chi difende la libertà di pensiero e di parola, dovrebbe essere coerente anche nel difendere la libertà degli altri».
Lei ha ritenuto condivisibile o comunque intellettualmente onesto l’intervento?
«Stimo molto Guzzo e, del suo intervento, ho apprezzato innanzitutto la prospettiva educativa, volta a riflettere sulla distinzione tra bene e male. Ne condivido in modo particolare un passaggio: se ci fosse anche un solo caso di violenza sulle donne, quel caso sarebbe comunque di troppo. Il suo intervento è partito dai numeri e sui numeri – piaccia o non piaccia – non si discute. Una lettura obiettiva dei numeri dice che, in alcuni paesi, il tasso di violenza sulle donne è statisticamente più basso. Sono dati che Guzzo ha estrapolato dal dossier Violenza al bivio, testo a più autori, pubblicato con il contributo del Dipartimento Pari Opportunità del Consiglio dei Ministri. Una pubblicazione che rientra nel progetto Vietato violare, mirato alla prevenzione della violenza di genere. Quindi, sull’obiettività di quanto affermato da Guzzo possiamo stare davvero tranquilli».
Quali sono questi paesi dove la violenza sulle donne è meno diffusa? C’è anche l’Italia?
«In Italia, in questo 2020 non ancora concluso, i dati parziali parlano di casi di violenza sulle donne in caso rispetto al 2019. Quello che veniva contestato a Guzzo era il suo riferimento al fatto che, nei paesi di cultura cattolica, sembrano esservi meno violenze e che, comunque, il fatto di condividere la stessa fede all’interno della famiglia possa essere un fattore di protezione. L’argomento della violenza di genere non è né di destra, né di sinistra, è trasversale. Può darsi che vi siano informazioni nuove o diverse dalla nostra modalità di inquadrare questo argomento ma credo che, a maggior ragione, sia doveroso aprire nuove prospettive, utili a salvare ancor più donne dalla violenza».
Secondo lei, cosa ci insegna questa vicenda riguardo alla libertà d’espressione?
«La libertà di pensiero va garantita per tutti, tanto più se aiuta a ricavare informazioni che allarghino lo sguardo sui problemi. Quello che serve è una collaborazione su argomenti trasversali, indipendentemente dal fatto che i relatori di un dibattito siano concordi o meno su certi temi. Non si possono però in alcun modo accettare strumentalizzazioni su quelli che poi possono diventare dei processi alle intenzioni. Faccio un esempio: una consigliera d’opposizione, ha parlato di “elegia alla famiglia patriarcale, preferibilmente cattolica” in occasione del nostro dibattito. Come se l’aggettivo “cattolico” fosse un insulto… E comunque Guzzo non ha mai detto che “la donna, la violenza se la va a cercare”. Attribuirgli questa frase non significa niente, non serve a niente ed è assolutamente distante dalla prospettiva costruttiva che invece noi abbiamo voluto dare. Fare un processo alle intenzioni, solo perché un relatore ha detto qualcosa che non piace, credo che porti la discussione a livelli ben lontani dall’essere costruttivi».