03/12/2021 di Luca Marcolivio

Corsi gender per genitori e insegnanti, ma serve un colloquio per “conoscerti”

L’indottrinamento gender dei minori non avviene soltanto in forma diretta, ovvero nel corso di attività formative scolastiche. L’altro target nel mirino sono i genitori, coinvolti a vario titolo dalle più disparate iniziative dell’instancabile propaganda lgbt. Una di queste è Liberi di… conoscere e riconoscere le differenze, a cura di Gay Help Line, numero verde contro l’omotransfobia che, si legge nella home page, «mette a frutto l’esperienza in ambito educativo, nella mediazione familiare e nei contesti scolastici e organizza un ciclo di formazione di sei incontri per genitori, personale scolastico, figure educative e sportive».

Lo scopo del corso è molto chiaro ed esplicito: offrire alle «famiglie» e alla «comunità educante» tutti gli «strumenti necessari per combattere il pregiudizio e la paura delle differenze». Il corso si avvale della partnership di Agedo Roma, CESP e Arcigay Sport e si articola in sei seminari online, il primo dei quali ha avuto ad oggetto Affrontare il coming out: relazioni, generi e identificazioni.

L’aspetto più significativo è probabilmente l’accesso al corso subordinato a un «breve colloquio online», organizzato dopo la compilazione di un apposito modulo, nel quale oltre a nome, cognome e recapiti, sono richiesti – come dati obbligatori – il «genere» e l’«orientamento sessuale». Resta da capire perché un genitore che voglia partecipare a un corso debba necessariamente svelare le proprie preferenze sessuali e a cosa sia dovuto il colloquio preliminare previsto.

Nella scheda informativa di Gay Help Online spiccano gli ormai immancabili asterischi («Tutt* a scuola: come educarci all’inclusione») ma, soprattutto, vengono poste in risalto alcune domande chiave, atte a suscitare ulteriori dubbi nel genitore privo di un’idea definita sull’attuale mondo adolescenziale e sul tipo di educazione da dare ai propri figli.

Gli interrogativi sono i seguenti: «Quanto è importante per i ragazzi sapere chi sono e sentirsi liberi di essere se stessi oltre la conformità di genere e di orientamento sessuale? Oltre i pregiudizi e gli stereotipi che li chiudono e li costringono? Cosa succede se mio figlio di 13 anni passa più tempo con le amiche che con gli amici? Se mia nipote ha 14 anni e indossa una maglia larga e una borsa arcobaleno? Che succede se nella mia classe un alunno si rifiuta di utilizzare il bagno dei maschi? Se quest’anno nella squadra che alleno due ragazze si sono legate e i genitori delle compagne sono venuti a protestare?».

Altro contenuto piuttosto “ad effetto” è rappresentato da alcuni dati forniti da Gay Help Line, che riferisce di «ragazzi giovanissimi, che sperimentano la difficoltà di vivere il proprio corpo, di comunicare i propri affetti e che spesso, quando lo fanno, sono accolti con il rifiuto, la discriminazione e in molti casi la violenza». Secondo Gay Help Line «sul totale dei casi di atti discriminatori e violenti subiti da minori, il 20% era compreso nella fascia d’età 12-14 anni». Al tempo stesso, «per il 17% dei ragazzi maggiorenni che hanno contattato la Gay Help Line […] il coming out ha comportato l’allontanamento da casa e la perdita del sostegno da parte della famiglia».

Seguono ulteriori considerazioni sul “coming out” che paiono scritte per indurre un certo senso di colpa nei genitori. «In assenza di informazioni e strumenti adeguati in genitori e parenti – si legge – prevale la preoccupazione e la sofferenza, che sono la premessa per la mancanza di comprensione e la sfiducia. I pregiudizi prendono il sopravvento e il vissuto dei propri figli viene etichettato come “un errore”. Le aspettative sui propri ragazzi sembrano compromesse. Il risultato è un senso di profondo isolamento, che nelle situazioni peggiori porta al rifiuto e alla convinzione che repressione, medicalizzazione e violenza possano “correggere” delle devianze. Spesso queste reazioni si presentano in sequenza, come fasi di un’escalation drammatica che si scherma dietro il dovere/diritto all’educazione e che invece legittima la violenza».

In conclusione, sono riportati ulteriori dati statistici elaborati da Gay Help Online, secondo la cui indagine “Laboratorio Rainbow”, «il 34% degli studenti partecipanti ha dichiarato che l’omosessualità è sbagliata», mentre «il 27% non vorrebbe un compagno di banco gay o trans» e «il 31% non vorrebbe condividere la stessa stanza in gita».

Le raccomandazioni finali vanno nella direzione della creazione di «spazi di informazione e dialogo con i ragazzi, su relazioni, sessualità, espressione della mascolinità e femminilità, orientamento sessuale». Obiettivo: «evitare che la paura delle differenze si trasformi in bullismo omotransfobico», perché «i ragazzi portano il bisogno di inclusione, di vivere le relazioni, di lasciare che i loro corpi e le loro menti si esprimano».

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