Tra quanti non operano nel mondo dell’informazione e in generale tra i non addetti ai lavori è possibile, anzi probabile, che molti non ne abbiano sentito parlare. Eppure il DSA – acronimo di Digital Services Act – è un qualcosa che meriterebbe di essere conosciuto da tutti, sia per il suo rilievo sia per le sue implicazioni, nonché per le potenziali criticità che, secondo alcuni, porta con sé. Salutato da alcuni come pietra miliare nella regolamentazione dei servizi digitali, di fatto il DSA è un atto normativo; più precisamente, è un regolamento dell’Unione Europea – siglato come Regolamento Ue 2022/2065 - entrato in vigore il 16 novembre 2022, con applicazione graduale a partire dal 2023 e pienamente operativo per tutte le piattaforme dal 17 febbraio 2024.
Cosa è il DSA?
Appartenente ad un più vasto pacchetto normativo, che include anche DMA – acronimo di Digital Markets Act -, il DSA è un regolamento che ha come finalità generale, per promuovere i diritti fondamentali degli utenti e nonché una concorrenza equa tra le piattaforme online, quello di «creare un ambiente digitale più sicuro e trasparente». Per conseguire questo scopo, per il raggiungimento del quale sono previste anche sanzioni (multe salate, che possono arrivare fino al 6% del fatturato annuo globale di un’azienda che abbia oltre 45 milioni di utenti attivi), il DSA chiede a fornitori di servizi di base, come gli ISP (Internet Service Provider) e i servizi di hosting, a piattaforme on line e piattaforme di grandi dimensioni, non solo di agire con trasparenza, ma anche di rimuovere contenuti illegali (per esempio riguardanti terrorismo o pedopornografia) e di tutelare e di moderare gli utenti.
Criticità per la libertà di espressione
Proprio quest’ultimo aspetto, quello di «moderazione» degli utenti, così come anche il contrasto dei contenuti illegali – là dove questi riguardino «contenuti d’odio», come tali non sempre facilmente circoscrivibili -, ha sollevato in più osservatori delle perplessità. Il rischio maggiore si basa sul pericolo di censura, di autocensura e del fatto che chiedere alle piattaforme di separare il «vero» dal «falso» possa, in concreto, trasformarle in gatekeeper della libertà di parola, con il rischio di sopprimere opinioni controverse o minoritarie. Non è un caso che anche nel mondo on line ci sia chi ha sollevato pubblicamente delle critiche verso questo regolamento. Per esempio, piattaforme come X, sotto la gestione di Elon Musk, hanno pubblicamente criticato il DSA, sostenendo che – con il pretesto di «moderare la disinformazione» - si rischia non solo censurare, cosa già deprecabile, ma anche di privare gli utenti della libertà intellettuale di stabilire cosa meriti di essere letto perché attendibile e cosa no. Insomma, la sensazione, per alcuni, è che con il DSA si possa andare verso una sorta di insidioso e liberticida paternalismo digitale. La pensa così anche una voce molto importante per il mondo pro life e pro family, vale a dire quella di ADF International, organizzazione ben nota a chiunque segua i temi etici e bioetici a livello internazionale.
Le perplessità del mondo pro life e pro family
Ebbene, per ADF il pericolo maggiore non sta nei fini che il DSA si propone di perseguire – in sé anche condivisibili, ovviamente -, bensì nei metodi. Più nello specifico, forte anche della propria esperienza, ADF sostiene che questo regolamento soffra dello stesso vizio sostanziale delle «leggi sul “discorso d’odio”» che «a causa della loro natura vaga e soggettiva, portano a interpretazioni e applicazioni incoerenti, basandosi più sulla percezione individuale che su un danno chiaro e oggettivo». ADF evidenzia poi «la mancanza di una definizione uniforme a livello Ue»; il che significa «che ciò che è considerato "illegale" in un paese potrebbe essere legale in un altro». Ma non solo: «Ci sono legittime preoccupazioni che il DSA possa censurare il discorso dei cittadini in tutto il mondo, poiché le aziende tecnologiche potrebbero imporre normative sui contenuti più severe a livello globale per conformarsi ai requisiti europei». ADF, inoltre, ricorda che il 6% del fatturato come parametro per le sanzioni della mancata osservanza del DSA, apparentemente poco, in realtà è moltissimo. Per le big come Google, Amazon, Meta e X, infatti, ciò significherebbe multe per miliardi di euro. Quindi, anche le più grandi aziende tecnologiche non potrebbero permettersi di non rispettare le normative DSA.
Rischio spirale del silenzio
Per concludere, dunque, possiamo dire che questo regolamento europeo rischia non solo di tradire le sue finalità, ma di instaurare un pericoloso eccesso di potere che metterà a repentaglio proprio le finalità per le quali è stato pensato. Se sempre più aziende avranno paura di veicolare opinioni “d’odio”, ma che probabilmente d’odio non sono - pensiamo a chi la pensa diversamente su aborto, famiglie o gender - le stesse aziende finiranno per istaurare quella spirale del silenzio che porta le opinioni meno mainstream a circolare sempre di meno, fino a scomparire. Preoccupazioni eccessive? Forse. Di certo, quando ci sono di mezzo valori cruciali e alla base del vivere democratico, come per l’appunto la libertà di parola e di espressione, una buona bussola può essere il principio di precauzione. Il tutto senza liquidare le nostre normali e legittime preoccupazioni come meri spauracchi o, peggio, come disinformazione. Quest’ultima cosa, in effetti, confermerebbe i peggiori sospetti.