Nel settembre 2018, augurando un buon inizio di anno scolastico agli studenti della Provincia di Livorno, Lorenzo Gasperini, allora consigliere comunale a Cecina e coordinatore provinciale dei giovani della Lega, scrisse un post su Facebook, in cui auspicava per i ragazzi degli studi liberi dagli indottrinamenti della sinistra, dall’immigrazionismo, dall’islamismo e dall’ideologia gender, in quel caso definita con il neologismo di “ideologia finocchista”. Sentendosi chiamata in causa dalle parole di Gasperini, l’Arcigay ha denunciato Gasperini, che, nelle scorse settimane, a distanza di più di cinque anni, è stato dichiarato colpevole di diffamazione aggravata a mezzo stampa, quindi condannato al risarcimento di 1.000 euro all’associazione, cui si è aggiunto il rimborso delle spese processuali che ammontano a 2.800 euro. Se è vero che, inizialmente, il pm avesse chiesto l’archiviazione, come previsto dalla procedura penale, il pm stesso è stato sostituito e la magistratura giudicante ha condannato il 33enne ex consigliere comunale di Cecina. Commentato la sua vicenda giudiziaria a Pro Vita & Famiglia, Gasperini ha affermato di essere stato condannato «in applicazione di una legge che non c’è», ovvero quel ddl Zan che, pur non essendo mai stato approvato, di fatto, secondo l’ex consigliere muove lo spirito di molte sentenze della magistratura italiana.
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Gasperini, dunque, lei non rinnega le espressioni da lei usate con cui Arcigay l’ha portata in tribunale?
«Si può discutere la scelta della mia terminologia, io, però, la rivendico e rivendico la funzione del linguaggio come retorica espressiva. Intendo dire che, quando parlo di “ideologia finocchista”, mi riferisco a un’ideologia che eleva l’omosessualità a valore e a dogma assoluto da imporre attraverso processi ideologici da veicolare con tutti i mezzi possibili, a partire dalla scuola. Oltretutto, l’espressione “finocchio” la ritroviamo negli autori realisti toscani, la ritroviamo in Prezzolini e – guardando all’altra parte – persino in Mario Mieli (che affermava: “noi siamo checche rivoluzionarie”…). È un termine che fa parte della vivacità del linguaggio espressivo italiano (nel mio caso toscano), una parola che mio nonno usava e che, per l’appunto, usano anche gli omosessuali. Per me è inaccettabile che vi siano parole per le quali serva la patente per poterle utilizzare, facendone una discriminazione nell’utilizzo, per cui se sei omosessuale la puoi utilizzare, mentre, se non lo sei, non puoi utilizzarla. Quindi rivendico il diritto di utilizzare la parola “finocchio”, senza offendere nessuno».
Ritiene, quindi, non sia offensiva quella parola?
«Certamente no. Oltretutto, è stato proprio un attivista Lgbt+, Giovanni Dall’Orto, presidente dell’Arcigay di Milano, a giudicare completamente infondata l’idea per cui la parola “finocchio” derivi dal legno di finocchio che veniva bruciato quando gli omosessuali venivano mandati al rogo. Qui in Toscana, si dice “finocchio” per indicare qualcosa di poco sapore, quindi anche un uomo dalla virilità poco accentuata, a cui non piacciono le donne. L’utilizzo di una lingua dovrebbe essere all’insegna della libertà, invece nascono nuovi dogmi, per cui si impedisce a un consigliere comunale e provinciale di definire “finocchista” quell’ideologia che trasforma l’omosessualità in un valore assoluto».
Entrando al merito della sua vicenda giudiziaria, che conclusioni ne trae?
«Che sono stato condannato, di fatto, per un reato d’opinione, per aver semplicemente utilizzato la mia libertà politica, giudicando un’ideologia e non certo una persona. Qualcuno potrà dire: non mi piacciono quei toni, Gasperini non lo voto. Io, però, per aver definito “finocchista” l’ideologia gender, sono stato giudicato dalla magistratura di Livorno colpevole di un crimine che, a loro avviso, violerebbe il Codice Penale».
A proposito di reato d’opinione lei ha detto che, nonostante il ddl Zan sia stato respinto dal Parlamento italiano, di fatto, è come se i magistrati lo stiano applicando. E’ così?
«Certo, potremmo dire che quella nei miei confronti sembra essere l’applicazione di una legge che non c’è. Effettivamente, anche nella mia percezione, ciò che ho detto o scritto sembra ledere lo spirito e il contenuto dell’aberrante ddl Zan, che, giustamente, il Parlamento ha cassato, grazie anche – ricordiamolo sempre – ad alcuni senatori del Partito Democratico, che lo dichiararono una vergogna e si rifiutarono di votarlo. Tutto questo per dire come la questione del gender vada al di là della contrapposizione ideologica: non è che, se un partito vince le elezioni, può mandare in galera tutti coloro che sostengono un’ideologia opposta. Quanto a me, ritengo di non aver offeso nessuno, semplicemente giudico il gender un’ideologia disumana, che lede gravemente la dignità dell’uomo e, in modo particolare, lede le dignità dei bambini».