02/01/2025 di Giuliano Guzzo

Da ieri in Emilia-Romagna via libera all’aborto a domicilio

Anno nuovo, abortismo di sempre: anzi, ancor più spinto. Da ieri, 1° gennaio 2025, è infatti a tutti gli effetti in vigore la nuova disposizione della Regione Emilia Romagna – precisamente la determina regionale numero 21024 del 9 ottobre 2024 – con cui si è approvato l’«aggiornamento dei profili di assistenza per le donne che richiedono l'interruzione volontaria di gravidanza (IVG) con metodo farmacologico». Si tratta di un atto amministrativo di 23 pagine con cui l’Emilia Romagna ha dato il via libera all'aborto farmacologico – ma sarebbe meglio dire chimico, dato che «farmacologico» fa pensare ad una cura, ma la gravidanza non è affatto una malattia – a domicilio.

I dettagli della nuova prassi

Nel concreto, ciò vuol che, a partire da ieri, chi sia intenzionata ad abortire può aver accesso alla pillola abortiva senza dover tornare in ospedale o in consultorio, in una modalità – almeno nelle intenzioni di chi è a favore di questa decisione – “sicura” e che permetterà alle donne di poter accedere alla pratica abortiva in un ambiente, così viene detto, intimo e familiare; il che si traduce nella facoltà, per la donna che vuole abortire, di assumere una delle due pillole abortive direttamente a casa, con assistenza tramite telemedicina. Si tratta di una novità sostanziale dato che fino al 31 dicembre scorso negli ospedali o nei consultori della regione erano richiesti tre accessi: il primo per aprire la cartella clinica e assumere la prima pillola, il secondo dopo 48 ore per assumere la seconda pillola rimanendo in osservazione 3/4 ore e il terzo 15 giorni dopo per verificare l’avvenuta “espulsione”. Ora invece si è a tutti gli effetti attivato un processo di deospedalizzazione del cosiddetto aborto “farmacologico, che naturalmente i paladini dell’abortismo hanno salutato e stanno salutando come un progresso. In realtà, questa novità pare onestamente essere tutt’altro che positiva.

Rischi e danni per la salute delle donne

Tanto per cominciare perché questa decisione della Regione Emilia Romagna si concretizza in una fase storica in cui – come ha certificato l’ultima Relazione ministeriale sull’applicazione della legge 194 sull’aborto– nel nostro Paese è ampiamente passata l’idea che abortire sia una cosetta da nulla: basta prendere un paio di pilloline e il gioco è fatto; quasi come prendere un’aspirina. Non è un caso che, nella nostra penisola, gli aborti chimici risultino oramai più numerosi di quelli chirurgici (52%); proprio perché si tendono a fare sempre più tra le mura domestiche. Tutto ciò, peraltro, a scapito della salute della stessa donna. Proprio per questo Pro Vita & Famiglia si è negli anni attivata, anche attraverso una apposita petizione – che ha raggiunto quasi 24.000 sottoscrizioni –, per contrastare la diffusione della pillola abortiva, un prodotto chimico il cui dilagare comporta «che moltissime donne e ragazze abortiranno da sole, dovendo gestire il dolore, il rimorso, eventuali complicazioni, e rischiando di vedere il piccolo viso del loro bambino morto (in quasi 6 casi su 10!), gettato nel WC». Sono parole che possono suonare di certo crude, anzi probabilmente lo sono, non c’è dubbio.

La crudeltà dell’aborto farmacologico

Il fatto è che è anzitutto l’aborto, tanto più nella sua cosiddetta variante «farmacologica», ad essere crudo; anzi, tremendamente crudo e all’insegna della più drammatica solitudine. E meraviglia pure che nessuno, neppure tra i paladini della legge 194 – che resta gravemente iniqua, per dirla con La Pira -, si accorga come la diffusione dell’aborto tramite pillole sia in totali antitesi e contrasto con la socializzazione della tutela della maternità che, appunto, almeno in teoria sostiene quella norma. Che resta ignorata così come sono ignorati i devastanti effetti, individuali ma pure sociali, della cultura di morte della quale l’aborto procurato è la più limpida e letale espressione.

 

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