10/07/2018

Dalla bio-poietica alla bioetica

Selezione embrionale, procreazione medicalmente assistita omologa ed eterologa, maternità surrogata, aborto, aborto eugenetico, stanze del buco, suicidio medicalmente assistito, eutanasia, controllo delle nascite, coppie di fatto, manipolazione genetica, clonazione: ecco alcuni tra i più rinomati elementi che compongono il sottile limite, l’evanescente frontiera fra bioetica e bio-poietica. La bioetica, come ha notato Van Potter negli anni ’70 del XX secolo allorquando coniò il termine, è la scienza della sopravvivenza, cioè quella che tramite analisi critica di carattere medico, filosofico ed etico mette sotto osservazione gli sviluppi della tecnica per evitare che, pur pensati nell’ottica di favorire l’essere umano, si risolvano in pratiche antiumane.

Più difficoltosa sembra profilarsi l’identificazione del concetto di bio-poietica, mancando una definizione ufficiale della stessa. Dal greco bios (vita) e poiesis (letteralmente fabbricazione, ma da intendersi più liberamente come manipolazione), per bio-poietica si può intendere il complesso di tecniche di cui l’uomo dispone per incidere artificiosamente sui percorsi naturali della vita, creandola a condizioni diverse da quelle dettate dalla natura, modificandola in termini diversi da quelli naturali, determinandone la fine in modi e per motivi diversi da quelli naturali.
Il concetto di poiesis è da intendersi, così come lo era per i greci, strettamente correlato a ciò che le menti elleniche definivano techne, cioè abilità, capacità tecnica. Nell’ambito della bio-poietica, dunque, assume una significativa rilevanza la techne, la tecnica, a tal punto da poter ritenere che la bio-poietica si traduca concretamente nella bio-techne, la bio-tecnica, cioè le modalità tecniche con cui si può gestire arti cialmente la vita dalla sua origine al suo termine.
La bio-poietica si fonda dunque sul bio-tecnicismo, cioè sulla capacità dell’uomo di poter usufruire di un variegato possibilismo tecnico con cui intervenire a piacimento sulla vita. Essa indica, allora, il processo sincretico fra volontà di gestire e manipolare la vita da un lato, e la possibilità tecnica (bio-tecnicismo) di farlo dall’altro. Insomma, la bio-poietica si fonda, in ultima istanza, sul cosiddetto tecnomorfismo, cioè, come spiega il prof. Francesco D’Agostino, la dimensione in cui «diventa ingenuo evocare il detto comune secondo il quale non è lecito fare tutto ciò che è possibile fare, perché il fondamento della liceità coincide col fondamento stesso della possibilità. Posso dunque devo».

La bio-etica insegna, invece, ad affrontare il problema di come stabilire, secondo parametri legati alla ragione e alla giustizia, cosa sia giusto e cosa non lo sia a proposito della vita e dei comportamenti umani. Trascurando i problemi di cui ciascuna tematica soffre di per sé, maggiori dilemmi sorgono nel momento in cui bio-etica e bio-poietica interagiscono.

Il nodo gordiano da sciogliere è stabilire se le operazioni della bio-poietica siano inquadrabili nell’ambito della bio-etica o se diversamente possano rappresentare un catalogo autonomo di valori.

Stando alla semplice osservazione delle innovazioni legislative degli ordinamenti giuridici europei, si osserva un aumento della tendenza del legislatore a disciplinare materie sempre più attinenti la vita.

Il legislatore, infatti, arranca dietro il progresso tecnico che al continuo galoppo crea infinite lacune normative, una continua ‘vacatio legis’ su tematiche sempre più importanti che egli ritiene – non sempre a ragione – non possano non essere subordinate al vigore di una legge, perché attinenti a questioni fondamentali per l’individuo e per la società.

L’attività del legislatore, dunque, si adagia, in un certo senso, sull’attività scientifica che si configura non solo come priva di regole, ma come normativizzante piuttosto che normativizzata, cioè, in definitiva, assolutamente autonoma dal contesto etico-giuridico.
Il legislatore, che nella maggior parte dei casi si ritrova davanti ad un fatto compiuto, prende atto di ciò che è accaduto e disciplina di conseguenza. Tuttavia il legislatore gode di una signi cativa libertà nel momento in cui deve scegliere il modello di riferimento, il sistema di valori a cui riferirsi, il tipo di libertà da garantire e disciplinare con il suo operato; al legislatore è, insomma, rimessa la facoltà di decidere se propendere per una visione bio-etica o per una visione bio-poietica.

La prospettiva bio-poietica, e con essa tutti i suoi sostenitori, presuppone, esige anzi, che il legislatore propenda per concedere quanto più spazio possibile all’evoluzione tecnica e alla possibilità di applicazione della stessa o che, addirittura, non disciplini del tutto la materia, lasciando alla comunità scienti ca la libertà di autodeterminarsi.

La prospettiva bio-etica, invece, richiede non solo che il legislatore disciplini una determinata materia o questione tecnica, ma si adoperi per de nire i perimetri di ciò che è giusto e di ciò che non lo è all’interno di una determinata operazione scientifica o tecnica, sia quando essa è soltanto al livello sperimentale, sia quando di essa si faccia esplicita applicazione a livello sociale.
La dimensione bio-poietica esprime con chiarezza il concetto per cui solo nelle in nite possibilità di fare dell’uomo può esservi un progresso autentico oltre ad una reale libertà, mentre la bio-etica ritiene che la vera libertà possa talvolta essere minacciata, e con essa la giustizia, la razionalità e le leggi di natura, dall’in nito possibilismo tecnico e che il progresso non sia necessariamente coincidente con il suddetto possibilismo tecnico, ma che anzi possa identi carsi con un limite da porre razionalmente giusti cato dalle leggi naturali.

Nell’ottica bio-poietica, insomma, l’unico limite umano è rappresentato dalla mera possibilità tecnica di eseguire determinate operazioni – quasi in un delirio di onnipotenza – creando un Superuomo di stampo nietzschiano, laddove nella prospettiva bio-etica, invece, l’uomo è perimetrato nei con ni della sua umana e naturale nitudine sancendo, dunque, che sono proprio i suoi limiti a determinarne l’umanità. Le azioni dell’uomo per la prospettiva bio-etica hanno dunque un limite, il limite di non alterare, lacerare o annientare l’umanità dell’uomo stesso con procedimenti tecnici e scienti ci di dubbia eticità in quanto di dubbia razionalità.

La bio-poietica, insomma, esprime la percezione che l’uomo ha di se stesso come homo faber, esplicitando una forma di volontarismo assoluto fondato su un sostanziale relativismo etico e giuridico che porta a negare l’inderogabile cogenza delle leggi di natura con la possibilità, dunque, di poterle manipolare e stravolgere a proprio piacimento.

Ecco perché non ogni potenziamento tecnico-scientifico è per se stesso un progresso; ecco perché qualunque potenziamento suddetto potrebbe rivoltarsi contro l’uomo, ledendone la dignità; ecco perché è fondamentale che una coscienza bioetica vigili sempre su una scienza bio-poietica.

Aldo Vitale

Fonte: articolo pubblicato sulla rivista Notizie ProVita di aprile 2016, pp. 21-23.

 

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