E' di questi giorni una notizia triste e drammatica come poche se ne potrebbero sentire. Una giovane 22enne toscana, Malika, è stata cacciata di casa dalla sua famiglia a causa del suo orientamento omosessuale.
Impressiona, oltre al fatto in sè, il violentissimo accento verbale dei messaggi audio mandati dalla madre alla figlia, che la stessa ha reso pubblici per testimoniare l'accaduto alla stampa e ai Carabinieri, a cui si è rivolta per tentare, invano, di recuperare gli effetti personali.
Nessun tipo di riserva che un genitore possa avere riguardo la vita dei figli, che si tratti di relazioni affettive o scelte politiche, religiose o culturali, può giustificare gli epiteti di estrema violenza offensiva che abbiamo sentito, misti a vere e proprie minacce di violenza o addirittura di morte.
Quand'anche non si condividessero, comprendessero o accettassero, per mille ragioni, scelte o stili di vita dei figli, un genitore non può mai abdicare all'imperativo morale di manifestare queste riserve sempre e comunque in una dimensione di amore.
Lo stesso Papa Francesco ha avuto modo di ribadire in modo esplicito il diritto dei giovani che manifestano un orientamento omosessuale di continuare a essere accolti e amati dalle loro famiglie.
Amare i figli, insegna la più accreditata psicopedagogia, non significa assecondarli passivamente o nascondere le incomprensioni sotto al tappeto per evitare momenti di crisi familiare. Anzi, in tante situazioni, come i genitori ben sanno, amare i figli può significare esattamente l'opposto.
In ogni caso, però, la cornice del fatidico "momento della verità" in cui le aspettative dei genitori possono scontrarsi con fatti discordanti nella vita dei figli deve restare quella dell'amore familiare e, quindi, del rispetto dell'inviolabile dignità personale di ogni essere umano.
Così non è accaduto nel caso di Malika, e sentendo l'insano risentimento della madre riversato con foga quasi folle nei confronti della figlia, il nostro cuore si è infranto col suo.
Bene ha fatto la ragazza a denunciare pubblicamente l'accaduto. Bene ha fatto la stampa a darne risalto, la cugina a organizzare una raccolta fondi, la politica a esprimere solidarietà trasversale, il Sindaco a mettere a disposizione i servizi comunali, i Carabinieri a prendere in carico la sua denuncia e, ultim'ora, la Procura di Firenze ad aprire un fascicolo d'inchiesta per il reato di violenza privata (come minimo).
La risposta a questo episodio di ingiustizia ed umana miseria è stata "sociale" nel senso più corale e autentico, coinvolgendo tutte le componenti della collettività per quanto, per così dire, di propria "competenza".
Segni tangibili di ampia solidarietà e prontezza giuridica che non si conciliano col tentativo che in molti stanno facendo di strumentalizzare anche questo caso a fini politici rinfocolando una presunta, improcrastinabile "necessità" di approvare il Ddl Zan contro l'omotransfobia giacente al Senato.
Anzi, tutto all'opposto, quanto sta accadendo dimostra materialmente e per l'ennesima volta che l'Italia affronta i singoli e per fortuna statisticamente marginali episodi di violenza e discriminazione contro persone omosessuali con ampia e coordinata risposta sociale in termini di solidarietà, e soprattutto con solerte e completa risposta giuridica in termini di tutela dei diritti.
La vicenda di Malika dimostra in modo incontestabile che in Italia non esiste alcuna "lacuna normativa" nella tutela dei diritti delle persone offese o discriminate in ragione del loro orientamento sessuale.
La Procura di Firenze ha potuto aprire un'inchiesta proprio perchè è già oggi pienamente possibile inquadrare i comportamenti violenti subiti dalla giovane in fattispecie di reato che il nostro Codice Penale già contempla e già punisce, con pene che possono essere già oggi aggravate per la particolarmente "abietta" circostanza dell'essere stato tutto motivato solo dall'orientamento sessuale della giovane ragazza.
Alcuni esponenti del movimento LGBT, consci che la pronta risposta dell'ordinamento giuridico alle violenze subite da Malika si sarebbe potuta ritorcere contro la menzogna del "vuoto normativo", hanno subdolamente cambiato argomento.
Hanno accusato gli oppositori del Ddl Zan di impedire l'approvazione di una legge che prevede, oltre all'aggravante penale (come detto, già esistente), anche il finanziamento di "case rifugio" per giovani omosessuali cacciati dalle loro famiglie, proprio come nel caso in questione.
Insomma: chi si oppone al Ddl Zan starebbe impedendo l'approvazione di un legge che consentirebbe a Malika e agli altri come lei di ricevere l'assistenza sociale di cui hanno estremo bisogno.
Anche questa, però, è una deplorevole strumentalizzazione politica della vicenda che mistifica la realtà delle cose. Il Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, infatti, sta esaminando proprio in questi giorni le partecipazioni a un bando pubblico appositamente ideato per finanziare con ben 4 milioni di Euro progetti di accoglienza e assistenza rivolti a giovani che si trovano esattamente nelle critiche condizioni di Malika.
Ognuno di questi progetti potrà ricevere quote fino a 100.000 Euro. Significa che, entro breve, potranno nascere in tutta Italia ben 40 nuove "case rifugio" per giovani cacciati di casa a motivo del loro orientamento sessuale.
I fatti sono quindi incontestabili: la piena tutela legale e la piena assistenza sociale per casi come quelli di cui si tratta non è solo già oggi "possibile", ma è già oggi concretamente in atto, senza alcun bisogno che il Parlamento approvi il Ddl Zan, il cui vero, unico scopo è quello di tappare la bocca a chi contesta il matrimonio gay, le adozioni gay, l'utero in affitto o l'ideologia gender nelle scuole e, soprattutto, invadere le scuole per promuovere la sessualità "fluida" e l'identità di genere.
Chi difende il diritto già pienamente tutelato di Malika di non subire violenze e discriminazioni, non rinuncia a difendere, contemporaneamente, il diritto di un bambino di crescere con la mamma e il papà, e non coi "genitori 1 e 2" di un contratto di compravendita fondato sull'utero in affitto.
C'è un ultimo punto da toccare, forse quello essenziale in questa triste storia.
In una recente intervista a Repubblica, Franco Grillini, tra i "padri fondatori" del movimento LGBT italiano, ha affermato che l'approvazione del Ddl Zan sarebbe una "rivoluzione sentimentale" per l'accoglienza delle persone omosessuali e transessuali da parte della società. Anche in tal caso, però, questa storia smentisce la "romantica" propaganda.
Infatti, ciò di cui Malika ha veramente bisogno, ciò che le è stato sottratto, le manca e preghiamo Dio possa presto recuperare, è l'amore incondizionato della sua famiglia.
Ora, la legge può (e deve) punire i reati commessi da una madre contro la figlia - e già lo fa. Nessuna norma potrà mai "imporre" a una madre, per legge, di tornare ad amare la creatura che ha portato in grembo per mesi prima di darle la luce.
Soprattutto ai fini di questa suprema speranza, vero nucleo della vicenda umana di Malika, il Ddl Zan si dimostra, quindi, di meschina inutilità.