Secondo l’Huffington Post «i David di Donatello confermano, la famiglia non esiste più». La cerimonia di premiazione avrebbe confermato «lo stato di grave dissociazione» tra la finta rappresentazione di un Paese ancorato ai valori tradizionali, proposta – neanche a dirlo – dalla “destra al governo”, e lo specchio fedele della società rivelato dai film più apprezzati, tutti a raccontare «lo stato postfamilista del mondo in cui viviamo».
Il senso del discorso sarebbe più o meno questo: i premi sono andati a film che mettono in scena contesti familiari lontani dal modello “mulino bianco”, abitati, cioè, da coppie che vivono «quietamente» in uno stato di separazione (Dogman), che si scoprono impotenti a proteggere il proprio figlio da una morte violenta (Sulla mia pelle), che organizzano una riunione familiare destinata a degenerare in una carneficina (A casa tutti bene), o che – non poteva mancare – sono composte da due omosessuali (Chiamami col tuo nome). È questa realtà, così rappresentata, che fotografa una «antropologia che si incontra sempre più frequentemente nella cronaca e nel mondo». Ergo, come nel più rigoroso sillogismo, possiamo dedurre che «la famiglia non esiste». È ufficiale. E soprattutto è un bene. Infatti ogniqualvolta l’arte, nel corso della Storia, fotografa uno stato di cose, non resta da fare che prenderne atto e celebrarlo, no?
Per la precisione, questa «lucidità» di sguardo sulle cose «ci dice che i legami e la convivenza non sono una fatalità biologica o sociale, che la famiglia è un riparo solo se è quella che abbiamo scelto, se è un luogo di amore e non di potere». Insomma, il World Congress of Families – il vero bersaglio delle invettive che stiamo citando – ha avuto il merito di portare allo scoperto un odio profondo per la famiglia (a voler essere precisi, per tutto ciò che è naturale) che serpeggia, a quanto pare, praticamente ovunque. Tutti a sputare nel piatto dove mangiano, dato che – fatalità biologica – siamo tutti figli di papà e mamma e cresciamo – indovinate un po’? – in una famiglia. Quella famiglia che in verità non possiamo “scegliere” perché sono i nostri genitori a chiamarci alla vita senza chiederci il permesso.
Ancora una volta, gli amanti della dissoluzione impugnano le eccezioni per invalidare la regola: gli episodi di violenza domestica diventano così rappresentativi dell’ambito familiare tout court, e il problema risiederebbe nel Dna dell’istituzione. Eppure a noi sembra di poter trarre le conclusioni esattamente opposte. Mai come oggi c’è bisogno di promuovere e tutelare la cellula affinché il corpo ne tragga beneficio. Del resto, diceva George Bernard Shaw, «il più grande servizio che possa essere reso da chiunque al Paese e all’umanità è formarsi una famiglia».
Vincenzo Gubitosi