21/09/2020 di Luca Marcolivio

Ddl Zan, Il commento di Mantovano e Sargentini. La giornalista: «Io femminista, non voglio finire in galera!»

A che punto sono l’iter del ddl Zan-Boldrini-Scalfarotto e il relativo dibattito? Una serie di ostacoli di carattere economico e burocratico ne stanno rallentando la discussione alla Camera dei Deputati, mentre nel mondo pro life si cerca di non abbassare la guardia e di allargare la prospettiva sull’argomento. A tale riguardo si è discusso la settimana scorsa in occasione della tavola rotonda sul tema Ddl Zan, dissenso informato. Le ragioni di un “no” per la libertà di tutti, tenutasi presso l’arcivescovado di Lucca.

Tra i relatori ha figurato Alfredo Mantovano, magistrato, vicepresidente del Centro Studi “Rosario Livatino” e consigliere alla Corte di Cassazione. Come ricordato da Mantovano a Pro Vita & Famiglia, il rallentamento del ddl Zan-Boldrini-Scalfarotto, che a luglio sembrava a un passo dall’essere votato, è «dovuto a ragioni anche di rilievo propriamente tecnico». La Ragioneria Generale dello Stato ha infatti sollecitato la Camera a trovare una copertura finanziaria che renda la legge applicabile. Non sono stati posti, invece, rilievi di costituzionalità in sede di Commissione Affari Costituzionali. «Sintetizzando potremmo dire che i soldi contano più della Costituzione», ha commentato Mantovano, precisando comunque che il rinvio della discussione è dovuto anche alle imminenti elezioni regionali e al referendum, oltre che al calendario della Camera, fitto di «decreti che vanno convertiti, ognuno dei quali ha svariate centinaia di articoli».

Il rinvio della discussione del ddl Zan-Boldrini-Scalfarotto – forse addirittura al gennaio 2021 – non ha impedito la strumentalizzazione di episodi cronaca come quello di Caivano, spingendo taluni ad esigere l’approvazione della legge. È stato però trascurato, rileva Mantovano, «un particolare non proprio marginale: l’autore dell’omicidio è in carcere», segno che «la repressione funziona anche con la legislazione vigente», ammesso e non concesso che si sia trattato di una «discriminazione a sfondo transfobico». Questo episodio, dunque, è «la conferma che il terreno su cui lavorare è quello di una prevenzione “larga”», riferita in modo ampio al «rispetto della persona», al «ripudio della violenza», al contrasto all’«uso delle sostanze stupefacenti, che fanno cadere i freni inibitori nelle situazioni di crisi». Tutto ciò «con la legge contro l’omofobia non c’entra nulla», aggiunge Mantovano, sottolineando la necessità di «deconfessionalizzare» il dibattito e di portarlo, laicamente, intorno al vero tema centrale: «Il bene della libertà che è a rischio e che interessa tutti, al di là delle appartenenze confessionali».

Al convegno di Lucca ha preso parte anche la giornalista del Corriere della Sera, Monica Ricci Sargentini, femminista di formazione, da anni particolarmente critica sull’utero in affitto. Non è in atto alcuna «convergenza» strategica con il mondo del Family Day, ha spiegato Sargentini a Pro Vita & Famiglia, tuttavia anche le femministe radicali sono critiche verso il ddl Zan. «Così com’è, questa legge è invotabile», ha aggiunto la giornalista. Inammissibile, in particolare, è l’inclusione della “misoginia”, che non è mai stata chiesta dal movimento, «benché la violenza sulle donne sia una realtà ben radicata in Italia»: in questo senso, «non abbiamo bisogno di una legge ad hoc, ma c’è bisogno che cambi la mentalità degli italiani: è un problema culturale, non giuridico», ha aggiunto Sargentini. «È peculiare – ha rimarcato – che si inserisca la misoginia all’ultimo momento in un provvedimento che riguarda il mondo lgbt, come a darci un contentino. Ricordo che noi donne siamo la maggioranza della popolazione».

Altra ragione per la quale, le femministe radicali non possono appoggiare il ddl Zan-Boldrini-Scalfarotto è la menzione dell’“identità di genere”, con la quale «è in pericolo l’esistenza stessa della donna». Sulla scia delle polemiche che hanno coinvolto la scrittrice J.K. Rowling, «le donne non possono più nemmeno essere nominate, ci chiamano “mestruatori”, non si deve più dire che le donne partoriscono ma che vi sono persone che partoriscono. Praticamente scompariamo…», lamenta Sargentini. Se si fa passare l’identità di genere, dunque, e si critica l’utero in affitto, «diranno che sto compiendo un reato di omofobia, perché starei discriminando una coppia di due uomini». Parlando del caso di Caivano, si rischierebbe di essere denunciati per il solo fatto di notare che il compagno della vittima, non è un lui ma una lei, cioè «una donna transgender che si identificava come maschio ma non aveva avviato percorso di transizione», sottolinea Sargentini.

La confusione che scaturirebbe se, con il ddl Zan-Boldrini-Scalfarotto, venissero aperte le porte alla self-identification sarebbe incontrollabile. «Vi sono case d’accoglienza per donne vittime di violenza – esemplifica ancora Sargentini –. Se vi si presenta un uomo che si identifica come donna, ciò può rappresentare un pericolo e i precedenti già ci sono. Idem per le “quote rosa” che, per definizione, sono riservate alle donne: se però le dovesse rivendicare un uomo che si identifica come donna, questo per me è un problema e vorrei essere libera di poterlo dire…». Cosa dire poi di un caso come quello di Valentina Petrillo, l’atleta transgender ipovedente? «Prende gli ormoni ma ha un corpo da uomo – osserva Sargentini – infatti ha vinto tre ori: ma di cosa stiamo parlando? E quando una tennista dichiaratamente lesbica come Martina Navratilova si è permessa di dire che questi atleti trans non possono gareggiare, perché ci sono differenze oggettive tra un corpo maschile e un corpo femminile, è stata ricoperta di insulti…».

«Non vorrei dover finire in galera per colpa del ddl Zan – rimarca Sargentini –. Così com’è concepito rappresenta una minaccia alla libertà d’espressione. Se dovessero togliere la dicitura “identità di genere” e mettere, ad esempio, “transessualità”, già sarebbe diverso: questa è stata la richiesta delle femministe ma non è stata accolta. Dire che conta solo “come uno si sente” e che il sesso di nascita non vale nulla, è qualcosa che anche gli omosessuali e le lesbiche dovrebbero osteggiare. Se contasse solo l’identità di genere, a quel punto, non esisterebbero più né donne, né uomini e nemmeno omosessuali: non avrebbe più senso, quindi, parlare di attrazione per lo stesso sesso, dal momento in cui il sesso non è più nulla di reale».

«Poter ancora dire – conclude la giornalista – che non condivido l’utero in affitto, che solo donne hanno le mestruazioni, che le quote rosa sono solo per donne, non è un’affermazione da cattolici oltranzisti o retrogradi. Non c’entra nulla la religione, è un problema di libertà d’espressione. Siamo in democrazia e bisogna poter dire la propria opinione, senza rischiare di finire in carcere».

 

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