Il 24 gennaio scorso l’azienda Smemoranda, produttrice dell’omonima e conosciutissima agenda, è fallita. L’asta aperta per stabilire il suo futuro è andata deserta e così, dall’anno prossimo, il diario che dal 1978 accompagnava tanti studenti italiani sui banchi di scuola non ci sarà più.
A settembre dell’anno scorso aveva fatto discutere il fatto che fossero presenti nella stessa agenda alcuni contenuti inerenti alla sessualità e all’ideologia gender, come avevamo denunciato noi di Pro Vita & Famiglia. Tra le varie pagine sulle quali segnare compiti e verifiche, infatti, spuntavano le “15 definizioni dal glossario LGBTQ+ che non sapevi di voler approfondire”, le spiegazioni su come fare sesso in sicurezza e i, purtroppo, soliti discorsi sull’identità di genere.
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Così, quella che ai genitori sarebbe potuta sembrare un’agenda del tutto innocua, ricordo dei loro anni scolastici già passati, era invece diventata uno strumento per diffondere quella stessa propaganda gender sulla quale i ragazzi vengono sempre più spesso indottrinati durante le lezioni, sia dai loro stessi insegnanti sia da sedicenti “esperti” invitati dalle direzioni scolastiche appositamente a questo scopo.
Eppure, questo non è bastato per far fare successo al diario e salvare la storica azienda, che ha dovuto chiudere i battenti. Non sappiamo, nei dettagli, quali sono stati i veri motivi – probabilmente più economici e finanziari che culturali – alla base del fallimento di Smemoranda, ma non è l’unico dove – o per un nesso realmente esistente o per semplice coincidenza – la propaganda gender ed Lgbt finisca per non pagare, ma anzi forse è anche sinonimo di flop assicurato.
Un esempio eclatante a livello internazionale è la Disney, della quale ci siamo già occupati più volte – anche con una petizione - che con le sue novità in linea con il “politically correct” attira sempre meno spettatori alle uscite dei suoi film e cartoni animati più recenti. Dall’inserimento fuori contesto di personaggi di colore o appartenenti alla categoria LGBT, all’eliminazione dei cosiddetti “stereotipi di genere”, proprio a causa di queste assurde forzature quegli stessi contenuti un tempo molto amati, oggi non vengono più apprezzati dalle famiglie. Di conseguenza gli incassi non riescono nemmeno più a coprire i costi di produzione, e alla fine dell’anno scorso è stato annunciato il licenziamento di migliaia di dipendenti perché erano necessari ingenti tagli sulle spese.
Forse i tempi stanno cambiando, le persone si stanno stufando di questa mentalità politicamente corretta, ipocritamente buonista, pronta a zittire chiunque osi sollevare una voce fuori dal coro. Forse sempre più genitori si stanno rendendo conto della pericolosità della diffusione di queste idee tra i loro figli, bambini e ragazzini bombardati con messaggi superficiali sull’identità di genere e l’orientamento sessuale che non possono fare altro che alimentare quel disagio che già è così comune negli anni dell’adolescenza. Qualunque sia il motivo, una cosa è certa, finanziare la propaganda LGBT non paga, e questo potrebbe diventare finalmente un forte deterrente, considerando che il buon senso, fino ad ora, non è bastato.
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