Il latte prodotto da uomini sedicenti donne è uguale al latte materno; «è comparabile con quello prodotto in seguito alla nascita del bimbo». Poco conta se la lattazione venga stimolata e indotta tramite un bombardamento ormonale. È quanto scrive in una lettera per scongiurare allarmismi il direttore medico dell’University hospitals Sussex Nhs Foundation Trust, mentre celebra tale risultato come l’ennesima conquista del progresso scientifico. Secondo il sistema sanitario inglese si tratta infatti di «latte umano» (per dirla con una formula che sia «neutrale e priva di pregiudizi di genere») con le stesse proprietà nutritive di quello di ogni mamma.
Eppure davanti a una simile operazione sono le stesse femministe a insorgere, intravedendo nella lattazione indotta nei maschi in ‘transizione di genere’ un attacco a una dimensione specifica, quella dell’allattamento, che è insita nella natura della donna. Di qui Rosie Duffield, deputata laburista, ha affermato pubblicamente: «I bebè non possono essere usati come cavie per le scelte di vita di qualcun altro», tanto più se si tratta di somministrare ai neonati «sostanze chimiche non testate».
Senza nulla togliere all’esigenza di tutelare il diritto del neonato a una sana alimentazione, nel caso di specie vengono così decostruiti i principi antropologici alla base dell’essere umano e nel contempo minate le fondamenta delle principali teorie psicologiche che valorizzano giustamente il ruolo determinante dell’allattamento al seno nel processo di relazione e attaccamento tra madre e figlio.
Ciò implica chiaramente anche una riflessione di carattere generale più ampia sui limiti del progresso scientifico, tecnologico e farmacologico, ribadendo un principio di ragione confermato dall’esperienza e dal senso comune ma troppo spesso obliato nelle discussioni in ambito bioetico: non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche implicitamente moralmente lecito.