Da Bruxelles, arriva l’ennesimo provvedimento liberticida. Con il Digital Service Act, il rischio più grande è quello di attribuire potere di vita e di morte alla libertà di pensiero a un ristretto comitato di persone, selezionate con chissà quali criteri. Con la scusa della lotta alle fake news, si rafforzerà la censura su Internet, andando verso un modello di comunicazione sempre più “cinese”. A denunciarlo è l’onorevole Alessandra Basso (Lega), il cui gruppo europarlamentare è stato l’unico a votare “no” al Digital Service Act, il cui regolamento ha suscitato forti perplessità e polemiche. A colloquio con Pro Vita & Famiglia, l’onorevole Basso ha espresso la sua contrarietà ai nuovi dispositivi legislativi.
Onorevole Basso, quali rischi pone per la libertà d'opinione il Digital Service Act recentemente votato all'Europarlamento?
«Sono stata relatore ombra per i gruppi della Lega, quindi ho seguito tutto l’iter di questo regolamento, dalla Commissione fino al voto in plenaria a Strasburgo e i successivi triloghi. È un testo che, rispetto alla proposta iniziale della Commissione, ha avuto dei miglioramenti anche grazie a degli emendamenti che io stessa ho presentato a nome del nostro gruppo. Rimangono però delle forti perplessità per quanto riguarda la libertà di espressione. La bozza prevede che, se una persona si ritiene in qualche modo lesa da qualcosa che è stato scritto nei social, può segnalarlo e ottenere la rimozione del contenuto. Il principio base di questo testo è che ciò che è illegale off line, lo è anche online. Fin qui il principio generale può andar bene. Ci ha però lasciati perplessi la presenza nel testo della figura dei trusted flaggers, ovvero dei segnalatori di professione. Sono profili dai contorni ambigui, non ben definiti. Da un lato, dovrebbero rispecchiare dei connotati di indipendenza, imparzialità e quant’altro. Verificare, però, quanto siano imparziali e neutri nelle loro decisioni, è qualcosa che ci lascia francamente un po’ perplessi. Non ci sono regole ben precise vaghe su questo: al contrario, sono molto vaghe. Per cui, uno dei motivi per cui abbiamo votato contro il provvedimento è proprio il timore che questi segnalatori di professione, possano tranquillamente trasformarsi in censori. Immaginiamo una ong se potrà mai avere un atteggiamento oggettivo e neutro rispetto a determinati temi…».
Aborto, ideologia lgbt, droga, pedofilia: la mannaia della censura rischia di abbattersi anche in questi ambiti? In che modo?
«Il rischio è che, in qualche modo, si voglia portare avanti un pensiero unico su carriera alias, aborto, maternità surrogata e tutti i temi etici. È ovvio che quello che leggiamo sulla stampa o che vediamo in tv, è già tutto orientato. Posso intravedere il rischio che anche sui social si possa ridurre la possibilità di esporre un pensiero che non sia allineato con il pensiero unico e ciò è evidente. Basti vedere se si prova a postare l’affermazione per cui un bambino dovrebbe avere una mamma e un papà: rischi di venire bannato, perché non lo puoi dire. È questo il rischio, secondo me».
Come mai, a suo avviso, un provvedimento così palesemente liberticida ha potuto godere di un consenso così trasversale, quasi unanime? Qualche gruppo parlamentare forse l’ha travisato?
«È indubbio che siamo più sensibili a certi temi rispetto ad altre formazioni politiche. Detto ciò, nel votare questo testo, qualcun altro potrebbe essersi focalizzato di più su qualcosa di diverso. Non dimentichiamo che, durante le discussioni, è emerso varie volte che questa vicenda proviene dal ban contro Trump dopo le elezioni, dai suoi account cancellati da Twitter e quant’altro: se n’è discusso parecchio di questa cosa. Credo che sostanzialmente sia andata così, perché siamo più vicini a determinati temi rispetto ad altre formazioni politiche più di sinistra, largamente ideologizzate e appiattite su un pensiero unico».
Anche altre componenti del centrodestra, comunque, hanno votato il Dsa…
«Probabilmente hanno valutato altre componenti del testo che – per carità – potevano essere giuste e hanno fatto semplicemente una valutazione diversa. Magari non intravedendo quello che noi abbiamo intravisto subito».