I “diritti umani” non sono scritti e non si possono scrivere.
Non si possono scrivere tutti, cioè. Perché se si scrivono, automaticamente, in qualche modo, si circoscrivono.
Essi sono per loro natura inviolabili, assoluti, indisponibili e immutabili, perché non sono diritti “creati” dalla legge dell’uomo, ma diritti creati dalla legge naturale.
Insomma: il diritto al voto esiste perché una legge l’ha creato, secondo certi principi. Il diritto alla vita, o la libertà, invece, esistono perché esiste l’uomo. Anche nelle società primitive esistevano. Magari non a tutti era riconosciuto lo stesso grado di “umanità” (ad esempio agli schiavi), ma la norma naturale “non uccidere” è sempre stata presente nella natura umana.
Invece certi interessi e desideri umani non sono diritti, in quanto non riconosciuti né dalla legge naturale, né da quella positiva: non ho diritto ad avere un gatto (se vivo in un residence dove non sono ammessi animali), non ho diritto ad andare in discoteca ( se non pago il biglietto e se non è orario di apertura), non ho il diritto di fare la ballerina (se non ho il fisico, le capacità e la fortuna di passare un provino), non ho il diritto di fondare una società commerciale con regole decise da me... non ho diritto a sposarmi con chi mi pare e come mi pare, non ho diritto a un figlio.
Oggi assistiamo alla pretesa di trasformare tutti i desideri in diritti.
Oggi assistiamo alla pretesa di decidere noi, quali siano i diritti umani e quali no. Addirittura pretendiamo che a sancirli sia il Parlamento Europeo che non ha neanche (da solo) il potere, sostanziale, di fare norme giuridiche coattive (vere).
Luca Volontè, commentando l’approvazione recente del rapporto Panzeri (Annual Report on Human Rights and Democracy in the World 2013 and the European Union’s policy on the matter) ha spiegato quanto sia contraddittorio in se stesso.
Secondo alcuni, annovera il matrimonio gay tra i diritti umani.
Infatti, il rapporto “incoraggia le istituzioni dell’UE e gli Stati membri a contribuire ulteriormente alla riflessione sul riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso” (par. 162), anche se l’Unione europea non è competente su questa delicata questione. Questo incoraggiamento viola il principio di sussidiarietà, che è un cardine portante di ogni democrazia (che sia democrazia sostanziale, vera) ed è uno dei principi fondamentali dei trattati dell’Unione Europea. Ma comunque non è certo la “proclamazione” di un nuovo diritto inviolabile dell’uomo!
E’ inoltre profondamente incoerente il fatto che il rapporto “esprime la propria seria preoccupazione sulla riduzione dello spazio per la legittima azione della società civile in molti Paesi del mondo; considera una società civile libera uno dei fondamenti per la protezione e il sostegno dei diritti umani e dei valori democratici in tutte le società” (Par. 121), e allo stesso tempo critica i referendum democratici, legittima espressione dei cittadini all’interno della stessa UE, contrari alle unioni omosessuali.
E ha tanto a cuore, l’Europa, la società civile che la petizione di CitizenGo che ha raccolto più di 170.000 firme, non è stata tenuta in nessunissimo conto.
Poi questo rapporto annovera tra i diritti inalienabili il “diritto” all’aborto, quindi con somma incoerenza, di fatto, derubrica il diritto alla vita: “136. deplora che i corpi delle donne e delle ragazze, specialmente con riferimento alla loro salute e ai loro diritti sessuali e riproduttivi, continuino a essere un terreno di battaglia ideologico e invita la UE e gli Stati membri a riconoscere gli inalienabili diritti delle donne e delle ragazze alla integrità del corpo e a un autonomo processo decisionale per quanto riguarda, insieme ad altro, il diritto di accedere alla volontaria pianificazione familiare e all’aborto legale e sicuro, e di essere libere da violenza, inclusa la mutilazione degli organi genitali femminili, il matrimonio precoce e forzato e lo stupro coniugale.”
“E’ una battaglia ideologica, che travisa il significato dei diritti”, sottolinea in sintesi, Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari, in un’intervista su Radio Vaticana.
Acutamente, Belletti spiega come questa cultura dei capricci-diritti sia una cultura non relazionale, che guarda solo al singolo individuo slegato dalle relazioni e dalle responsabilità.
Questa concezione adopera “la legge per cambiare la testa delle persone. Un po’ il contrario di quello che dovrebbe fare la legge: la legge dovrebbe essere espressione della volontà del popolo. Invece, così si vuole cambiare la testa delle persone. Tantissimi interventi sull’educazione al “gender” hanno proprio questa cultura esplicita”.
Oggi molti non sanno più distinguere che “un conto è rispettare i diritti delle persone, degli individui – e tutelarli quindi contro ogni atteggiamento di marginalizzazione e di violazione dell’integrità della persone – e un conto è andare a rivisitare alcune istituzioni fondamentali dell’umano, come la famiglia e la tutela della vita, sempre e comunque, sono due pilastri fondamentali di una società umana e equa. E’ questa la cosa preoccupante: che si vanno a deteriorare le fondamenta dell’umano.”
E prosegue:”Se l’aborto diventa un diritto anziché essere giudicato come un’operazione negativa – al di là del fatto che sia legale oppure no – e se la famiglia viene totalmente svuotata di significato si indebolisce radicalmente la protezione dell’umano“.
Per contrastare questa cultura nichilista e distruttiva, è aperto un confronto a livello politico-istituzionale e un confronto culturale che consiste nel “far risuonare nel discorso pubblico – appunto – l’idea che la difesa della famiglia, la difesa della vita è un valore di progresso, è un valore di futuro, non è la difesa di un passato” (almeno finché non intervenga una legge Scalfarotto ad impedirlo).
“E poi – conclude Belletti – c’è un lavoro di testimonianza: cioè rifondare dal basso un popolo che, qualunque cosa pensino le élite che votano nei parlamenti, comunque alla vita e alla famiglia crede fino in fondo con la propria esperienza concreta. E questo popolo c’è. Dobbiamo essere più coraggiosi…”.
E se “il coraggio uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare” (come diceva Don Abbondio), l’unione fa la forza: facciamo rete, sosteniamoci a vicenda e superiamo divisioni, rivalità e campanilismi in nome di ciò che ci unisce: la difesa della vita, la difesa della famiglia, la difesa dei nostri bambini.
Francesca Romana Poleggi