Il Cassero LGBT center è il comitato provinciale Arcigay di Bologna, noto a livello nazionale per essere stato tra i precursori dell’unione tra politica e ideologia gay (il comune di Bologna già nel 1982 riconosceva «l’importanza e la progettualità di una realtà associativa gay e lesbica», concedendo una sede al “Circolo di cultura omosessuale 28 giugno”, oggi chiamato “Il Cassero”) e per la sua spinta propulsiva nella creazione dei circoli Arcigay e nella diffusione dell’omosessualismo e del gender in tutta italia, ovviamente a partire dai bambini (con corsi tenuti nelle scuole, spesso all’insaputa dei genitori).
Ad oggi il Cassero non è più nella storica sede di Porta Saragozza (assegnata gratuitamente dal Comune) bensì si trova alla Salara. Poco è cambiato: uguali le attività svolte, che talvolta comprendono il ricorso alla esplicita blasfemia (come ad esempio nel 2015: attenzione, immagini forti).
Ma non è tuttavia di questo che vogliamo parlare oggi, bensì di una spaccatura emersa in senso al Cassero e che ben dimostra come coloro che vorrebbero propagandare al mondo l’accoglienza e la tolleranza sono i primi a non saper poi metterle in pratica.
La notizia è questa: ArciLesbica è stata espulsa dai gay del Cassero, dopo 22 anni di convivenza. La mail è di venerdì 11 maggio e recita: «non è più possibile mantenere la vostra sede legale in v. Don Minzoni 18».
Come mai? La risposta la troviamo nel Comunicato Stampa diramato dalla presidente nazionale di ArciLesbica Cristina Gramolini: «ArciLesbica non si è allineata alla richiesta di legalizzazione dell’utero in affitto, promuovendo invece l’accesso alle adozioni; abbiamo denunciato l’assurdità di rivendicare farmaci bloccanti della pubertà per i bambini e le bambine con comportamenti non conformi alle aspettative di genere, chiedendo invece di lasciare libera l’infanzia di esprimersi al di là degli stereotipi di genere; abbiamo criticato l’assistenza sessuale alle persone con disabilità, chiedendo per loro il pieno inserimento sociale e la non mercificazione dell’affettività; abbiamo respinto lo slogan Sex work is work, perché non normalizziamo l’uso sessuale delle donne. Siamo insomma colpevoli di avere posizioni autonome che scontentano il gotha arcobaleno, dunque per noi non ci deve essere posto al Cassero LGBT Center. Gli autoproclamati femministi del Cassero, presenzialisti festeggiatori di ogni 8 Marzo, sedicenti lottatori contro la violenza sulle donne, ci cacciano senza preavviso».
Insomma, quando un gruppo del mondo Lgbt ha il coraggio di denunciare l’obbrobrio dell’utero in affitto, oppure rivendica il diritto dei bambini a crescere secondo normalità, o ancora si batte per una visione della sessualità meno (almeno parzialmente) degradante, si trova di fronte il muro della censura gay.
Si è accolti e festeggiati fino a quanto si è allineati, altrimenti si è fuori. È la dittatura gay, bellezza.
Redazione