La Corte Costituzionale, relativamente alla questione di legittimità dell’articolo 580 sollevata dalla Corte d’Assise di Milano, chiamata a giudicare l’esponente radicale Marco Cappato (accusato di aiuto al suicidio per aver accompagnato Fabiano Antoniani in Svizzera dove si è posto fine alla sua vita), ha rinviato la palla al Parlamento. La Consulta ha evidenziato che «l’attuale assetto normativo sul fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti». La Corte ha così deciso di rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 c. p. all’udienza del 24 settembre 2019 sospendendo di fatto anche il giudizio a carico di Cappato. Ne abbiamo parlato con il magistrato Alfredo Mantovano, già parlamentare, attuale consigliere alla Corte di Cassazione e vicepresidente del Centro Studi Livatino.
Come giudica la decisione della Consulta? La sorprende o si aspettava un rinvio alle Camere?
«Sulla base delle poche righe che si possono leggere dal comunicato della Consulta, appare chiaro che la norma contestata, in questo momento, è perfettamente in vigore e non è stata dichiarata illegittima. Da ciò si deduce che la sua applicazione è sospesa nel caso di merito che ha generato il giudizio, ossia la vicenda Cappato, ma resta a tutti gli effetti operativa. Non capisco francamente l’esultanza da parte dei sostenitori dell’illegittimità. Il secondo aspetto da rilevare è che la decisione è stata sicuramente controversa, essendo slittata di due giorni. Questo significa che il confronto all’interno della Corte è stato molto articolato, probabilmente con posizioni differenti fra i vari componenti che hanno richiesto una mediazione in Camera di Consiglio. Evidentemente anche le motivazioni esposte dai sostenitori della legittimità sono state prese in seria considerazione».
A questo punto cosa potrà accadere?
«La palla adesso passa al Parlamento. Dovremo leggere nei dettagli la decisione della Consulta, ma è evidente già da ora che le Camere dovranno attivarsi, non nell’ottica di eliminare la legge che come ripeto non è stata dichiarata illegittima, ma di adeguarla a quel bilanciamento degli interessi evidenziati dalla Corte».
Sussiste davvero questo vuoto normativo, oppure Cappato poteva essere giudicato tranquillamente alla luce della normativa vigente?
«Come Centro Livatino abbiamo fatto le nostre valutazioni e, nella memoria a sostegno, abbiamo evidenziato che non esiste alcun vuoto normativo. La tesi della Corte d’Assise di Milano non è quindi condivisibile. Questo perché l’articolo 580 punisce l’istigazione e l’aiuto al suicidio. La questione è stata sollevata in relazione all’ipotesi di aiuto, sostenendo che un conto è il comportamento di chi determina il suicidio di una persona spingendola a farlo, altro aiutare un soggetto che ha già maturato questa intenzione, rispettando sostanzialmente la sua autodeterminazione. Ma questo principio è inaccettabile, perché se io voglio togliermi la vita e uno dei problemi che ho è quello di raggiungere un luogo all’estero dove mi è consentito farlo, la persona che si offre di accompagnarmi rafforza il mio proposito. Quindi le due condotte non possono essere scisse. Non dimentichiamo poi che nel caso di Dj Fabo, non siamo in presenza di un rifiuto di cure o di accanimento terapeutico, ma di un suicidio vero e proprio, ossia un atto materialmente possibile ma non giuridicamente tutelabile. Se si elimina questa norma vorrà dire che ognuno di noi potrà essere titolato a chiedere l’aiuto a chiunque nel momento stesso in cui avrà maturato la decisione di togliersi la vita. Istituiremo nelle Asl i reparti riservati al suicidio? L’intero ordinamento uscirebbe minato».
Il Presidente di Pro Vita Toni Brandi ha invitato oggi il Parlamento a non cadere nella trappola, a non trasformare l’aiuto al suicidio in dovere di morire, in nome di un falso pietismo che aprirebbe la strada alla legalizzazione dell’eutanasia. Condivide?
«Certo. Intanto, in primo luogo, vorrei capire cosa intende fare il Governo, in questo giudizio rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, che ha fatto però una difesa molto blanda della legge, ribadendo le stesse cose che abbiamo ritrovato nel comunicato. L’Avvocatura ha in sostanza spiegato che la norma non va dichiarata illegittima perché spetta al Parlamento farlo. Se una norma si vuole resti in piedi, affermare che deve essere cambiata dal Parlamento non è certo una posizione di forza. Quale sarà quindi l’atteggiamento del Governo? Finora è stato molto deludente visto che l’Avvocatura dello Stato rappresenta l’Esecutivo e non decide certo di testa propria. Nulla vieta al Governo di assumere l’iniziativa proponendo un disegno di legge che provi a muoversi nei binari indicati dalla Consulta, ossia mantenendo in vigore la norma e rimodulando le sanzioni rispetto a situazioni specifiche. Il problema del Parlamento sarà ora quello di capire chi assumerà l’onere di portare all’esame delle Camere un testo in linea con le risultanze della Corte. Credo che questa funzione debba spettare all’Esecutivo, non ai singoli parlamentari».
Americo Mascarucci