In questi giorni stiamo assistendo a un forte dibattito sull’apertura degli esercizi commerciali di domenica, alla luce dell’intento del Governo di modificare le disposizioni in materia entro la fine dell’anno.
Ad oggi, riporta il Corriere della Sera, l’Italia è l’unico Paese in Europa a non aver nessun tipo di limitazioni di orario e apertura, «la novità è stata introdotta dal governo Monti che nel 2012 con il provvedimento Cresci Italia ha voluto liberalizzare del tutto gli orari degli esercizi pubblici».
Quindi: domenica e altri festivi negozi aperti, oppure no?
A propendere per la chiusura sono ovviamente i lavoratori direttamente coinvolti, specie se hanno famiglia e figli, e con loro praticamente tutti i sindacati. Della stessa idea sono anche i piccoli commercianti, che escono svantaggiati rispetto alle grandi catene con tanti dipendenti a disposizione.
Contrari alla decisione, invece, gli imprenditori, che percepiscono una perdita di guadagno (comunque tutta da verificare: tenere aperto il negozio e pagare dei dipendenti si bilancia con le vendite domenicali?); alcuni economisti, che lamentano la perdita di posti di lavoro... e poi ci sono gli “egoisti”, autocentrati, ossia coloro che la domenica sono a casa dal lavoro e che in questi giorni stanno considerando il problema in questione ponendosi l’assurda domanda: «Ma cosa farò se una domenica d’autunno piove e i negozi sono chiusi?».
Il fatto infine che alcuni dicano che l’apertura domenicale viene incontro a chi non ha tempo di fare compere durante la settimana risponde a un falso problema: un po’ perché nessuno lavora a tempo pieno 6 giorni su 6 e perché, se lo facesse, forse dovrebbe per primo rivedere le proprie priorità.
Se è infatti pur vero che il lavoro è parte costitutiva della vita dell’uomo (lo ricordava anche San Benedetto, con il suo motto «Ora et labora»), è altrettanto vero che oggigiorno non tutti i lavori sono rispettosi della dignità delle persone (sia in termini di attività, sia di orari e retribuzione) e che viviamo una schizofrenia collettiva per cui si “è” solo in relazione a quanto “si produce“: un fatto, questo, che in certi soggetti rivela un disagio a livello psicologico, per cui l’inconscio li “costringe” a lavorare per colmare il bisogno di ammirazione che magari il padre o la madre non hanno mai dato loro, o meccanismi simili.
Il punto, in definitiva, è che occorre tornare a mettere le giuste priorità. Riprendendo il motto benedettino citato sopra, prima c’è la preghiera, poi il lavoro e il tutto è scandito da ritmi stabiliti, che contemplano anche il riposo fisico e la ricreazione spirituale. Traducendo tutto questo nell’oggi, significa che (quantomeno) la domenica una persona deve privilegiare la famiglia e gli affetti al lavoro, che rimane un aspetto certamente importante e necessario del vivere, ma che non deve assumere il primo posto e arrivare a informare ogni nostra giornata, perché questo porterà presto o tardi alla malattia: spesso fisica – si pensi a tante malattie psicosomatiche o stress-correlate – ma anche, e soprattutto, interiore, con un inaridimento della nostra umanità.
La domenica è per la persona, è per la famiglia, è per il riposo, è – per chi crede – per Dio. Per le compere, ci si può certamente organizzare in altro modo.
Giulia Tanel