Il “diritto alla salute delle donne” si rivela molto spesso solo un paravento per veicolare la propaganda di pratiche quanto mai deleterie proprio per il benessere psichico e fisico delle donne: si vedano contraccezione, aborto e fecondazione artificiale, per esempio.
Scrive un’infermiera a proposito di morbilità e mortalità materna negli USA: è giusto denunciare la “malasanità” e i disservizi, ma è necessario anche vedere la realtà tutta intera...
Alison Young ha scritto qualche tempo fa, per USA Today, un pezzo molto critico del sistema sanitario (pubblico e privato) sulla mortalità materna negli Stati Uniti.
Affermava la Young che gli Stati Uniti sono il posto più pericoloso, nel mondo sviluppato, per partorire: in occasione del parto, ogni anno, più di 50.000 donne subiscono qualche complicazione. Circa 700 ne muoiono. E prosegue spiegando dove sono le mancanze (organizzazione, formazione del personale, igiene, etc.).
Ma la Young trascura alcuni dati non irrilevanti: non tiene conto delle complicazioni riscontrate al momento del parto né dalle donne che hanno dato l’utero in affitto, né da quelle che hanno fatto ricorso alla fecondazione artificiale.
Andrebbe invece fatta una distinzione tra gravidanze “naturali” e non. Perché queste gravidanze sono comunque classificate a rischio più elevato.
Un grafico che accompagna l’articolo mostra che dal 1990 al 2015, il numero di decessi di donne, ogni 100.000 nascite, in Germania, Francia, Giappone, Inghilterra e Canada è stato stabile o in calo. Negli Stati Uniti è aumentato drasticamente. È interessante notare che in Germania e Giappone l’utero in affitto è vietato, in Francia e in Canada è possibile solo nella forma “altruistica”: cioè l’utero si può dare in comodato gratuito, ma non in affitto. La norma è facilmente aggirabile, perché comunque è previsto un congruo rimborso speso per la gestante, ma la pratica resta molto meno diffusa.
La ricerca, d’altro canto, dimostra che comunque la fecondazione artificiale provoca parti pretermine, diabete gestazionale materno, ipertensione e placenta previa.
Se poi si tratta di utero in affitto, e se l’ovuolo è di una donna diversa dalla gestante, il rischio si moltiplica e inoltre il parto è quasi sempre cesareo (perché la nascita deve avvenire quando i compratori sono in loco per ritirare la merce): il taglio cesareo è comunque più pericoloso del parto eutocico [ossia parto naturale senza ricorso di strumenti, ndR], sia per la madre che per il bambino, e non solo per il maggior rischio di emorragia.
In America molte donne scelgono di affittare uteri, non perché sono sterili, ma perché non vogliono affrontare i fastidi e i rischi della gravidanza e del parto. E i medici le incoraggiano a farlo. Anzi, incoraggiano anche le donne anziane a ricorrere alla fecondazione artificiale...
La Young citava il dott. Steven Clark, un esperto in sicurezza del parto del Baylor College of Medicine, che criticava la scarsa professionalità e responsabilità nei reparti maternità.
Cosa dire allora circa le cliniche della fertilità?
Marcy Darnovsky, direttore esecutivo del Center for Genetics and Society, ha detto che gli Stati Uniti sono il Far West dell’industria della fertilità e dell’utero in affitto: «Questo paese si rifiuta di proteggere donne e bambini».
Nella mia carriera di infermiera addetta alla sala parto ho lavorato in strutture d’eccellenza che implementano le importanti raccomandazioni sulla sicurezza di cui parla la Young nel suo articolo. Ma anche a me è capitato di dover assistere a casi tragici. Abbiamo bisogno di migliorare.
Ma possiamo migliorare davvero finché l’indistria della riproduzione punta ai dollari più che sui risultati?
Karlen Blaine
Traduzione con adattamenti, non rivista dall’Autrice, a cura della Redazione
Fonte: Stop Surrogacy Now