Negli ultimi anni si è investito molto sulle quote rosa, nell’ottica di favorire la partecipazione delle donne in luoghi chiave del vivere sociale ed economico.
Non tutte le donne, tuttavia, hanno accolto e recepito questo indirizzo con favore, per vari motivi.
Primo motivo: uomini e donne non sono identici
Un primo motivo è la constatazione che donne e uomini sono uguali per dignità, ma non sono identici, checché ne dica la teoria del gender e tutto quello che vi ruota attorno. Trattare dunque due individui differenti innanzitutto biologicamente (il fatto che apparteniamo al mondo XX o al mondo XY è immutabile) in maniera uguale è errato: con la pretesa di uguaglianza, si discrimina l’uno o l’altro sesso, a seconda della circostanza. Esemplificando: una donna (XX) correrà per forza più lentamente di un uomo (XY), per via della conformazione fisica differente, quindi far competere i sessi in una stessa categoria va a sfavore del gentil sesso.
Secondo motivo: le donne hanno bisogno di favoritismi?
Un secondo motivo è la constatazione che questa cosa delle quote rosa si rivela essere, all’opposto di quello che sarebbe l’intento, contraria alla valorizzazione delle donne. Infatti, quale messaggio si manda affermando che, obbligatoriamente, una tot percentuale dei componenti del Cda di un’azienda deve appartenere al sesso femminile? O, ancora, obbligando i cittadini chiamati al voto a scegliere candidati che rispecchino in uguale misura entrambi i sessi? Essenzialmente un messaggio per cui, al di là delle competenze, delle attitudini e dei meriti le donne devono essere rappresentate ad ogni costo: perché? Se una donna vale e ha le competenze giuste, ci sarà posto per lei anche senza che le venga riservato ad hoc.
A giustificazione di questa impostazione si sente spesso dire che «Il mondo del lavoro è maschilista», che «Le donne hanno salari più bassi e meno possibilità di fare carriera», etc... ma è veramente così? Non è che, molto più semplicemente, le donne hanno predisposizioni differenti? E arriviamo così al terzo, e ultimo, motivo.
Terzo motivo: donne e uomini hanno predisposizioni differenti
Il terzo motivo è direttamente correlato al primo. Il fatto che donne e uomini siano differenti a livello biologico, determina un differente cervello (che è sessuato) e altre variabili fisiche, una parte delle quali di immediata intuizione. Questo fa sì che donne e uomini sviluppino predisposizioni differenti: se la prima, chiamata alla maternità, è più accogliente, protettiva, empatica, l’uomo è più concreto, razionale, meno emotivo... e questo è un bene e una ricchezza per l’intera società.
Questo fatto determina quindi – come ben spiegato nel documentario Il paradosso norvegese, girato in quella Norvegia che per prima ha introdotto le quote rosa – che anche in ambito lavorativo e di impegno sociale donne e uomini tendano a ricercare impieghi differenti. Questo non significa assolutamente che una donna non possa fare la camionista, ma semplicemente che in linea generale la predisposizione porterà il gentil sesso a impegnarsi in attività volte alla cura, all’accoglienza (come l’insegnante, l’infermiera... o, perché no?, anche stare semplicemente a casa con i propri figli); allo stesso tempo, un uomo può essere un bravissimo maestro, ma in linea generale i maschi preferiscono impieghi volti al concreto, o al razionale.
Conclusione
La vera uguaglianza non consiste quindi nel trattare persone diverse in maniera uguale, bensì valorizzare la specificità di ognuno, al fine di mettere tutti nella condizione di dare il meglio di sé.
Le quote rosa? Un retaggio di un femminismo mal concepito, che voleva un appiattimento delle donne sul modello maschile.
Teresa Moro