Il dossier “Aborto: dalla parte delle donne”, presentato oggi in Senato, è una pubblicazione sintetica, divulgativa e di estrema efficacia. Il volume mostra in primo luogo i danni che l’aborto procura e che le grandi lobby sanitario-farmaceutiche si sono sempre prodigate a nascondere. Altri punti di forza del dossier: le testimonianze dirette delle donne e le manipolazioni a monte delle linee-guida del Ministro della Salute, Roberto Speranza, sulla Ru486 (agosto 2020). Abbiamo sentito direttamente Lorenza Perfori, autrice del testo.
In estrema sintesi quali sono le ipotesi di partenza e le conclusioni del dossier Aborto: dalla parte delle donne?
«Tutta la prima parte si occupa delle complicazioni psicofisiche correlate all’aborto indotto. Per ogni complicazione riportata, vi sono gli studi scientifici a supporto. La prima parte riepiloga le conseguenze sulla salute fisica comuni a entrambi i metodi abortivi. Si parla di infezioni pelviche genitali, di emorragie, del fallimento dell’aborto, di ulteriori dati e informazioni sugli eventi avversi. Poi si prosegue con le conseguenze sulla salute fisica nell’aborto chirurgico. Qui si parla di danno cervicale, di cicatrizzazione della parete uterina, di complicazioni relative all’anestesia. Poi ci sono le complicazioni tipiche dell’aborto chimico, gli effetti collaterali della prostaglandina, il dolore forte prolungato, il flusso emorragico abbondante e prolungato. C’è tutto il gruppo delle complicazioni che riguardano la salute a lungo termine e le successive gravidanze. Comunque, è provato che le donne con dei pregressi aborti indotti possono incorrere in problemi nelle gravidanze successive, anche sulla salute a lungo termine. In questa sezione, ad esempio, si parla, per i problemi che riguardano le future gravidanze, di aborti spontanei e ripetuti, di parto prematuro. Si parla della malattia infiammatoria pelvica, della sindrome di Asherman, del problema della placenta previa e di altri. Tra le conseguenze a lungo termine, vi sono le malattie autoimmuni e il cancro al seno. Poi c’è tutto il gruppo di conseguenze sulla salute psichica. C’è inoltre un capitolo intitolato Voci di donne post-abortive che riporta testimonianze dirette».
Cosa significa essere “dalla parte delle donne”, in un’ottica pro-life?
«Dalla parte delle donne perché, dal momento che si parla di libera scelta, è giusto che le donne siano informate di tutte le complicazioni cui vanno incontro con aborti indotti: invece si difende l’aborto legale ma non la salute delle donne. Ricordiamo che l’aborto fu legalizzato con l’intento di tutelare la salute delle donne. La legge 194 è sempre una legge iniqua: uccide sempre un figlio nel grembo materno e spesso rovina la salute della madre. Allora è opportuno fare chiarezza e dire come stanno effettivamente le cose. Di complicazioni non se ne parla mai, anzi, vengono nascoste, i dati vengono sottostimati, le donne non vengono informate, perché le procedure abortive non devono fermarsi. Nostro obiettivo è la tutela della salute del concepito e della madre: entrambi i principi non sono in contraddizione. Parimenti si muore anche di aborto legale, perché comunque è un danno alla salute della donna».
Quali sono i danni più seri alla salute delle donne che ha riscontrato nella sua ricerca?
«La gravità dipende dai casi particolari. Un’infezione potrebbe essere lieve ma, al tempo stesso, diventare grave. Una donna può andare incontro a una infertilità o sterilità futura. Un’emorragia può essere lieve oppure richiedere una trasfusione di sangue o ancora provocare la morte. C’è poi l’“aborto fallito”, quando la donna, dopo esservi sottoposta, continua a portare nell’utero residui del feto. Se la donna non se ne accorge subito, può insorgere un’infezione che può diventare grave, risolvendosi addirittura nella morte per setticemia».
L’ultimo capitolo fa luce sulle controverse linee guida del Ministro Speranza sulla Ru486: perché quel provvedimento è così menzognero?
«Facendo il “segugio” sono riuscita a rintracciare il parere intorno alle linee guida, che era stato secretato. Tra le varie contraddizioni, posso citarne alcune. Con queste linee guida, Speranza ha esteso l’utilizzo della Ru486, da 7 a 9 settimane. È stata eliminata la necessità di ricovero ospedaliero ed è stata introdotta la possibilità di abortire in day hospital presso i consultori o gli ambulatori pubblici. Ha ridotto le restrizioni, estendendone i luoghi dove si può praticare l’aborto chimico. Nel parere però si parla soprattutto di telemedicina, quindi della donna che abortisce a casa, in autonomia, con la pillola. Per dirla in sintesi, i principi sarebbero: abortire in telemedicina va bene, non ci sono pericoli, la donna ha più privacy, gli studi scientifici dicono va tutto bene. In realtà parecchie cose non vanno: nel parere si sostiene che la RU486, al di fuori degli ospedali in telemedicina, è somministrata nella maggior parte dei paesi europei. In realtà si scopre che l’aborto chimico in day hospital e negli ambulatori è ammesso solo in tre paesi europei: Francia, Svezia, Regno Unito. Mentre a domicilio, l’assunzione del secondo farmaco, la prostaglandina, è ammessa solo in Francia, Austria e Regno Unito. I Paesi europei sono 47. Quindi parliamo di una minoranza di Paesi. Tra l’altro dagli ultimi articoli che ho letto, sembra che nel Regno Unito, da agosto, sospenderanno la procedura, a seguito dei tanti danni che ha provocato. Si sostiene che l’assunzione domiciliare della prostaglandina a casa sia una pratica diffusa e sicura. Si riporta, però, uno studio che mostra un conflitto di interessi, dal momento in cui tra gli autori citati dal Ministero, erano membri del comitato consultivo scientifico esterno della Exelgyn, l’azienda farmaceutica francese che produce e commercializza la Ru486 in Europa. Vengono anche riportati pareri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, del Royal College e dell’American College, tutte organizzazioni dichiaratamente abortiste. Manca, al contrario, tutta quella grande mole di letteratura scientifica di cui riporto una parte nel libretto, che mostra i danni dell’aborto, in particolare dell’aborto chimico».