La propaganda martellante anti-proibizionista, insinua nelle menti la falsa convinzione che la droga si può dominare, che esiste la droga “leggera” che non fa male, anzi fa anche bene alla salute. Le vittime principali di questa propaganda sono certamente le nuove generazioni. Ma purtroppo molto spesso i loro genitori e insegnanti, figli del Sessantotto, la pensano allo stesso modo.
Eppure basterebbe fermarsi a riflettere e ad ascoltare la testimonianza di chi nella trappola della droga ci è cascato e con fatica ne è venuto fuori, per conoscere la verità. Andrebbe quindi comprato, divulgato e regalato, soprattutto ai ragazzi, il libro scritto dalla nostra Giulia Tanel a quattro mani con Federico Samadem: Fotogrammi stupefacenti. Storia di una rivincita, edito dalla Dominus Production. Federico Samadem è stato responsabile della comunità di recupero di San Patrignano a Trento. Ha sempre messo in guardia anche dal semplice spinello; dichiara a Francesco Agnoli su La Verità del 16 dicembre 2018: «La sottovalutazione di questo fenomeno è un aspetto culturale drammatico. Purtroppo c’è una parte del mondo adulto che strumentalmente difende questa cosa».
«Che utilità può avere una canna? Nessuno risponde. Perché non si capisce cosa può avere di utile fumare uno spinello. Che beneficio può avere l’alterarsi in un processo formativo?».
«Dai 14 anni in poi un ragazzo deve cominciare a prendersi le proprie responsabilità. Il contrasto che passa attraverso prese di posizione forti serve per non far crescere ragazzi smidollati. Dobbiamo trasmettere ai nostri figli i valori della responsabilità, però è più comodo giustificare».
E racconta come ha cominciato: «Ricordo soprattutto il momento del passaggio dalle scuole medie alle superiori: da San Donato milanese – dove vivevo un’esistenza serena da quattordicenne appassionato sportivo, sciatore e calciatore – al liceo classico Berchet di Milano, a Porta romana. Diventavo un po’ più grande, e questo aveva il sapore della libertà…».
«Era un’epoca di grandi fermenti e di grandi illusioni. Tutto sembrava possibile, si dovevano rompere i limiti dati dalla famiglia, si doveva apparire sicuri e maturi, anche se le insicurezze e le incertezze la facevano da padrone dentro di noi. Mio fratello percorreva e occupava lo spazio politico, con la sinistra estrema, e io dovevo differenziarmi, in una sorta di competizione familiare. Ricordo le prime frequentazioni balorde, scambiate per amicizie: banditi e spacciatori».
«Ci sono caduto dentro come un pirla. Ricordo i primi lsd, i festival di “re nudo”, e mio padre che scuoteva la testa a tavola guardando me e mio fratello. Ricordo la cocaina dei sanbabilini e gli scontri tra opposte fazioni politiche... Dopo è stato il peggio…»
«Giorno dopo giorno l’uso di sostanze prendeva il sopravvento su tutto. Smettere di sciare, di giocare a calcio, di studiare: è stato un rapido declino. Unico interesse era trovare sempre più droga e stare con chi aveva i miei stessi pensieri. Una via di fuga quotidiana, raccontando balle a tutti e a me stesso, e un degrado sociale e relazionale che cresceva. Ricordo che ogni giorno, guardando mia madre e mio padre soffrire impotenti di fronte a un figlio amato che moriva un po’ alla volta, mi dicevo che era ora di smettere e di ritornare a essere la mia parte buona!»
Poi, l’incontro con Vincenzo Muccioli: «L’amore unito alla fermezza aveva cominciato a far parte della mia quotidianità. In un luogo che io, all’inizio, consideravo solo come un modo per venirmene un po’ via da Milano, dove avevo fatto troppi casini. E dove ci sarei stato per qualche mese, giusto per riprendermi».
E invece è rimasto: «Ricordo bene quando cominciai a sentirmi orgoglioso di essere uno che stava lottando per uscire dal degrado. Mi sentivo come un bambino che scopre il mondo, ogni cosa mi appariva come se fosse una nuova straordinaria esperienza.
Che energia! Il cervello cominciava a rimettersi in moto dopo anni di buio. E volevo sapere, ero curioso di capire ogni cosa, che nesso ci fosse tra ogni piccola particella di questo mondo e l’infinito che sentivo forte dentro di me. Una ricerca di senso, ecco cosa è stato per me Vincenzo».
La rinascita si è accompagnata alla conversione e al proposito di aiutare gli altri come era stato aiutato lui a venir fuori dall’incubo.
«Volevo urlare al mondo che avevo capito il senso del mio vivere, e che questo era non più per me stesso, ma per gli altri. Sentivo di stare bene se stavano bene i ragazzi che vivevano con me e non volevo altro».
Il primo passo per venir fuori dalla schiavitù della droga – è chiaro dall’esperienza di Samadem – è il riconoscere e accettare la realtà, la verità sulla droga. Quella verità che troppo sovente oggigiorno viene celata ai ragazzi; quella verità che però rende davvero liberi.
Francesca Romana Poleggi