Mentre è in corso la polemica sui genitori alfanumerici («Genitore 1» e «2» e, forse anche «Genitore 3 o 4» e via numerando) istituzionalizzati nel liceo Mamiani di Roma (ahimé, il “mio” liceo, a quei tempi più che rispettabile), “D”, il magazine femminile di Repubblica lancia il «co-parenting» (in inglese fa più effetto), cioè la «co-genitorialità». La rivista la traduce in un titolo efficace: «Scusi, vuol fare un figlio con me?» e dà gli estremi di un sito web con «quasi centomila iscritti», che organizza gli incontri. I quali più gelidi non potrebbero essere e, quanto all’etica, al buon gusto e soprattutto al rispetto dei figli e dei loro diritti si definiscono da soli. L’assurdità del «co-parenting» ci aiuta, tuttavia, nella valutazione della figura dei genitori numerici, perché evidenzia non la strettissima relazione naturale tra padre e madre, ma la netta divisione tra le due figure, la loro reciproca estraneità, che proprio i numeri evidenziano.
Genitori si è insieme così che per essi si può parlare di «patrimaternità» generata e custodita dal matrimonio. La riconosce perfino a Legge 40 sulla fecondazione artificiale quando vieta l’uso di gameti eterologi, anche se poi la viola con le sue tecniche extracorporee. Il «co-parenting» è così spiegato dal citato magazine: «Si diventa genitori senza fare coppia: scegliendosi sul web». E ne narra il primo caso svoltosi tra Australia (lui) e Nebraska (Usa, lei). Costei racconta: «Sapevo che era uno sconosciuto, ma lo sentivo vicino come un fratello perduto [...] Si è sistemato in casa mia e dopo un po’ di convivenza mi ha consegnato un campione del suo seme [...]
Sono andata in camera mia e mi sono inseminata...». L’iscrizione al sito costa pochissimo: «Trenta dollari al mese per trovare la persona giusta: età, sesso, ricerca (maschio o femmina) e regione di provenienza». Con una vena di razzismo geografico.
ABORTI DIMEZZATI?
Su La Stampa un’inchiesta a puntate sugli aborti in Italia (finora 13 e 15 novembre) adopera toni trionfanti: «A trentacinque anni dalla legge gli aborti sono più che dimezzati». I numeri parlano, è vero, ma dicono la verità soltanto quando sono tutti quelli che riguardano una data materia. Così non si può accreditare il numero degli aborti legali (più le ristrette stime di quelli «clandestini») senza nemmeno una minima valutazione anche dei criptoaborti, cioè non avvertiti, perché avvenuti nei primissimi giorni di gravidanza mediante l’uso delle pillole dei giorni dopo o di metodi meccanici: tutti metodi non contraccettivi ma di «intercezione», cioè che impediscono l’impianto del già concepito, intercettandolo mentre tenta di annidarsi nell’utero.
Il numero dei cripto aborti non potrà mai essere accertato, ma solo stimato statisticamente in base a studi sui numeri dei concepimenti «attesi» per fallimento dei contraccettivi, delle pillole abortive vendute e dei cicli femminili: numeri che Avvenire ha più volte pubblicato e che possono essere considerati soltanto come indici, ma eloquenti. Gli studi, fatti sulla base di dati pubblicati da seri ricercatori di parte “laica”, danno come esito matematico stime di probabilità spaventose, discutibili e non controllabili: da 70mila a 850mila ogni anno. Anche se ci si attenesse al primo risultato, sarebbero incomprensibili i toni trionfali sul numero delle vittime, ciascuna delle quali era «uno di noi».
di Pier Giorgio Liverani