L’irlandese Michael O’Flaherty è stato eletto come nuovo commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa. Il Comitato dei Ministri del Consiglio stesso, composto dagli ambasciatori di 46 paesi, inclusi tutti i 27 membri dell’Unione Europea, lo ha eletto all’importante ruolo preferendolo alla bulgara Meglena Kuleva e all’austriaco Manfred Nowak. O’Flaherty assumerà un incarico importantissimo, ma la sua storia ci parla di un un curriculum già di tutto rispetto. Ha una laurea in legge, una in teologia e filosofia e una in relazioni internazionali, ma soprattutto una lunga carriera dedicata alla tutela dei diritti umani all’interno di diverse e importanti organizzazioni sovranazionali e delle loro ramificazioni tematiche: dall’Ufficio dell’Alto Commissario dell’ONU all’UNICEF, per poi atterrare nei vari centri di studi europei, in particolare la Fundamental Rights Agency dell’UE, dove ha svolto il ruolo di direttore per quasi dieci anni, dal 2015 ad oggi.
C’è poi anche un particolare interessante e curioso nella biografia di O’Flaherty: nel 1980 è stato ordinato prete cattolico, ma oggi si presenta nel suo stato laicale. Non si trova da nessuna parte né l’anno né il motivo di tale rinuncia, ma qualche indizio emerge: ancora nel 2011 il Belfast Telegraph sottolineava come O’Flaherty non avesse abbandonato l’abito talare e come si stesse scontrando con l’opinione cattolica tradizionale e in particolare con l’insegnamento papale relativamente ai diritti sessuali e dei gay. Non è difficile immaginare come mai di lì a poco abbia maturato la decisione di passare dal clergyman alla giacca e cravatta per farsi paladino dei diritti umani sì, ma intesi nella nuova prospettiva imposta dalla nuova era transumana, quella appunto dell’omosessualismo, del transgenderismo e delle istanze LGBTQ+. È in quella veste che la sua già notevole carriera ha fatto un salto di qualità: pochi anni dopo, infatti, si trova a capo dell’importante Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali.
In realtà la sua nomina non è stata una rivoluzione: già il suo predecessore aveva piegato l’agenzia europea a un’interpretazione a senso unico del concetto, di per sé universale, di diritti umani, riducendoli essenzialmente agli interessi lobbistici LGBTQ+ e femministi. Priorità che O’Flaherty fece proprie. Sotto la sua guida la FRA ha prodotto una pletora di studi, sondaggi e analisi su ogni possibile aspetto della vita di chi è parte delle comunità arcobaleno e, ma in subordine, delle donne. In sostanza, sotto la direzione di O’Flaherty, l’amplissima gamma di diritti umani universali menzionati e precisamente listati in un gran numero di documenti ufficiali si è ridotta soltanto a quelli di suo diretto interesse e coinvolgimento, per altro precisamente espressi nei “Principi di Yogyakarta”, dedicati espressamente soltanto ai temi dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.
Dunque nessuna ricerca sul diritto alla vita o alla salute dei cittadini europei, nessuna analisi dei tragici dati relativi alle morti sul lavoro o sulla piaga della prostituzione minorile (d’altra parte O’Flaherty è anche un convintissimo abortista, quindi i bambini non devono essere in cima alla lista delle sue priorità). La FRA targata O’Flaherty si è solo impegnata a vigilare che i paesi membri del Consiglio d’Europa implementassero le politiche gender-friendly imposte dall’ONU, a fustigare i ritardatari e a complimentarsi con chi invece si adeguava di buon grado. Complimenti comunque sempre molto moderati perché, ça va sans dire, «c’è molto ancora da ottenere sulla strada dei diritti». D’altra parte, come lui stesso sottolineava nell’aprile del 2023, «non c’è strada in Europa dove più della metà delle coppie LGBTIQ se la sentano di camminare tenendosi per mano». Questi sono problemi, in effetti. Questi sono diritti umani, caspita. Queste sono le istanze che fanno emergere un commissariato presso il Consiglio d’Europa.
Non c’è molto di buono, purtroppo, da attendersi dai prossimi anni d’incarico di O’Flaherty, a questo punto: continuerà a fare da cinghia di trasmissione tra le direttive sovranazionali e i governi dei vari paesi e a spingere con una propaganda spietata basata sulla statistica più trilussiana a disposizione. Si tenga a mente, a questo proposito, che la sua più frequente lamentela è: «non abbiamo speranza di costruire paesi migliori e più giusti senza la partecipazione e la cooperazione di una società civile capace di crescere», ossia che, nonostante gli sforzi propagandistici, legislativi ed economici - questi ultimi poderosi in ogni paese occidentale - la generalità delle persone non si decide ancora a lasciare libero spazio alle drag queen negli asili, ai corsi di “affettività” tenuti da transessuali alle elementari e medie, a rendere obbligatoria la transizione di genere verso il sesso opposto a quello riscontrato alla nascita per tutti i bambini e le bambine che sopravvivono miracolosamente alla salutare pratica dell’aborto.
La gente, su questi temi, si adonta O’Flaherty, non collabora, rimane attaccata, bigotta com’è, a quei vecchi rottami degli articoli e delle desinenze accordate ai due generi naturali e non si rassegna al fatto che anche una persona nata maschio possa mestruare o restare incinta.
Insomma, con dei diritti umani declinati in questo modo, ci attende molto di tragico dal commissariato di O’Flaherty che, con tutta la sua esperienza e i suoi legami tentacolari con tutta l’ampia rete dei decisori e delle lobby sovranazionali, saprà probabilmente spingere oltre l’eccessivo, quindi probabilmente al parossistico, il progetto ideologico incarnato dagli orwelliani “Principi di Yogyakarta” e da tanti altri documenti, dichiarazioni, carte e protocolli prodotti negli ultimi trent’anni di inarrestabile declino non solo e non tanto della civiltà occidentale tutta intera, ma proprio di quei diritti umani, quelli veri, la cui difesa da oggi il buon ex “don” O’Flaherty è chiamato a garantire.