Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne si schiera contro la recente proposta dell'amministrazione Biden di modificare la legislazione sull'uguaglianza per aumentare la partecipazione delle atlete transgender allo sport femminile a livello scolastico e universitario.
In una lettera inviata al Governo e divenuta di dominio pubblico, Reem Alsalem ha affermato che l’iniziativa innesca «un trattamento ingiusto e forme illegali ed estreme di discriminazione contro la maggior parte delle donne e delle ragazze». Ci si chiede da sempre come le assurdità che scaturiscono dall’ideologia gender possano affermarsi e diffondersi così tanto. La risposta è semplice: denaro. Nell’aprile 2023, ad esempio, il Dipartimento dell’Istruzione statunitense ha proposto l’introduzione di norme che impediscono alle scuole e alle università beneficiarie di finanziamenti federali di imporre divieti sulla partecipazione di studenti transgender in squadre che corrispondano alla loro identità di genere. Tradotto: se qualcuno si azzarda a opporre divieti o obiezioni ai maschi nelle sezioni agonistiche femminili, niente più fondi federali.
La proposta si potrebbe concretizzare con una semplice estensione agli studenti transgender che si identificano come donne delle protezioni offerte dalle norme risalenti al 1972, le quali vietano la discriminazione basata sul sesso nell’istruzione. Alsalem ha dichiarato ai media che il cambiamento proposto «probabilmente priverebbe le studentesse-atlete delle pari opportunità sportive, del riconoscimento pubblico e delle meritate opportunità di borse di studio». Ma non è soltanto un fatto sportivo e Alsalem non lo nasconde: «Le mie preoccupazioni si estendono anche fuori dal campo. Costringere donne e ragazze a condividere i loro spazi intimi con uomini, compresi bagni e spogliatoi, può violare la loro privacy e lasciarle esposte a un rischio maggiore di molestie sessuali e attacchi fisici». E prosegue, per quanto riguarda lo sport: «i maschi mantengono vantaggi prestazionali nello sport per tutta la vita e che, sebbene questi vantaggi possano essere mitigati, non possono essere soppressi».
E’ eloquente che Alsalem, dunque un esponente dell’Onu – e che ben conosce l’Agenda 2030 – si scagli contro una delle tante amministrazioni occidentali alle quali proprio il suo “datore di lavoro” ha inoculato certe istanze. La dice lunga sull’assurdità, e la pericolosità, di certe istanze gender. Assurdità e mostruosità che ora divorano un gran numero di ragazze e donne, atlete e non, le cui associazioni sono arrivate a implorare l’amministrazione Biden di ripensare la proposta di legge. A bloccare ogni strada al ravvedimento sono però prontamente arrivate le armate LGBT: «gli studenti transgender corrono il rischio di aggressioni e altri gravi danni se non vengono autorizzati a utilizzare le strutture che corrispondono alla loro identità di genere», hanno dichiarato dal Centro Nazionale per l’uguaglianza transgender. «Gli studenti transgender vogliono semplicemente vivere liberamente e autenticamente come se stessi, proprio come ogni altro studente», concludono nel loro comunicato.
Ma gli atleti transgender sono in numero tale da dover davvero sconvolgere intere sezioni agonistiche? Probabilmente no. Probabilmente si tratta di una sparuta minoranza, specchio della minorità numerica del fenomeno transgender nella società, eppure dettano legge, e guai a chi osa obiettare. Lo sa bene Riley Gaines, che ha gareggiato (ovviamente perdendo) contro la nuotatrice transgender Lia Thomas al college. Di recente ha detto a Newsweek che è arrivata a temere per la sua vita, dopo aver condotto una campagna contro l'inclusione degli atleti transgender negli sport femminili. Alla faccia del vittimismo di plastica delle associazioni LGBT.
Il fatto è che quando si è assurti al ruolo di lobby capace di pilotare intere amministrazioni del calibro della Casa Bianca o del palazzo di vetro dell’ONU, non ha senso costruirsi un percorso identitario proprio, nello sport come in altri ambiti. Ci sono burattini come Biden e il suo entourage che, pur di non venire sradicati dai gangli del potere, sono pronti ad asservirsi a qualunque follia. Ne è ulteriore prova un’altra iniziativa firmata dal presidente Usa: una proposta di legge che taglierebbe i fondi alle organizzazioni e associazioni pro-vita statunitensi che gestiscono centri di gravidanza e programmi alternativi all’aborto. L’allarme viene dal repubblicano Mike Pence e da altri politici attenti alla vita, che segnalano come la proposta, oltre tutto, trasformerebbe i fondi tagliati in finanziamenti per la famigerata “Planned Parenthood”, la nota fabbrica degli aborti statunitense. La norma in questione è già stata respinta, grazie ai Repubblicani, nel dicembre scorso, ma le elezioni sono alle porte e Planned Parenthood è un supporter indispensabile per Biden che si ricandiderà, ed ecco dunque ecco rispuntare l’obbrobrio.
L’obiettivo finale pare essere più aborti e niente più educazione sessuale completa, servizi di pianificazione familiare, programmi di prevenzione della gravidanza, servizi di mobilitazione comunitaria per i giovani a rischio, programmi di prevenzione della gravidanza per gli adolescenti, tutti servizi che vengono regolarmente offerti dai centri pro-vita americani e che, giorno dopo giorno, sono una vittoria per le donne e i bambini d’America. Ma, forse sta proprio lì il problema, donne e bambini non sono tra le priorità dei Democratici, di Biden e di tutto il circo dei liberal d’oltreoceano, che anzi sembrano portati a un accanimento particolarmente ostile verso il genere femminile, oltre che verso le più banali normalità naturali. Speriamo che donne e uomini di buona volontà, in quel degli Stati Uniti, se ne rendano rapidamente conto e si esprimano con decisione verso un’interruzione di questa distopia guidata da una gabbia di matti.