22/09/2020 di Giuliano Guzzo

Ecco come la Von der Leyen dimentica le vere priorità europee

«Proporremo di estendere l'elenco dei crimini dell'UE a tutte le forme di crimini d'odio e di incitamento all'odio, che sia a causa della razza, della religione, del genere o dell'orientamento sessuale». Lo ha detto la tedesca Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, nel suo discorso sullo stato dell'Unione pronunciato in occasione della sessione plenaria del Parlamento europeo, lo scorso 16 settembre.

Il problema è che costei non si è limitata a tale appoggio incondizionato e netto ad una legislazione di fatto contro l’omofobia, no: la presidente von der Leyen si è spinta oltre, con parole degne di un leader di Arcigay: «Per assicurare il nostro sostegno alla collettività nel suo insieme, la Commissione presenterà presto una strategia per rafforzare i diritti delle persone LGBTQI».

Ora, anche mettendo da parte il fatto che «una strategia per rafforzare i diritti delle persone LGBTQI» possa essere davvero una iniziativa eticamente accettabile – cosa che con ogni evidenza non è nella misura in cui mira a metter fuorilegge la morale classica sul matrimonio e la sessualità o, peggio, ad indottrinare i bambini in salsa gender -, rispetto a queste parole della von der Leyen un dilemma sorge spontaneo: ma è una priorità questa? Possibile che in un’Europa flagellata dalla pandemia e della conseguente crisi economica, la priorità sia un grande piano arcobaleno? Senza dimenticare, poi, l’enorme e dimenticato problema del Vecchio Continente: la denatalità.

Attenzione, perché non parliamo di una criticità epocale nota solo in casa cattolica. Non più. Ancora dieci anni or sono, infatti, fu l’ex cancelliere tedesco, Helmut Schmidt (1918-2015) a suonare un campanello d’allarme con queste parole: «Dobbiamo essere realisti. Le popolazioni europee stanno invecchiando, e in certi paesi stanno persino riducendosi […] A quanto pare tutti sono in grado di percepire e comprendere la gravità di tali questioni, tranne i dirigenti europei!» (Il Foglio, 22/5/2010). Difficile dissentire.

Anche tra gli studiosi il tema dell’inverno demografico europeo, naturalmente, è noto e sentito. Al punto che il demografo statunitense Ben J. Wattenberg, nel suo Fewer: How the New Demography of Depopulation Will Shape Our Future (Ivan R. Dee Publisher, 2005), aveva osservato – rispetto agli ultimi decenni della storia europea, segnati da una drastica picchiata della natalità - che mai, dai tempi della Peste Nera, in Europa i tassi di fertilità erano caduti in basso così rapidamente, così a lungo e così diffusamente.

Tutto questo, ovviamente, sarà ben chiaro – si spera – pure ad Ursula von der Leyen; bene, ma allora perché la presidente della Commissione europea, anziché mettere a tema la denatalità come vero e inderogabile problema dell’Europa, seguita a strizzare l’occhio ai movimenti arcobaleno, arrivando perfino a promettere «una strategia per rafforzare i diritti delle persone LGBTQI»? Tale quesito ha senso non solo perché l’agenda Lgbt distoglie l’attenzione dalla famiglia e dalla natalità. C’è dell’altro.

Infatti, nella misura in cui si abbracciano le istanze arcobaleno non si va solamente in una direzione altra rispetto a quella della natalità, no: si va una direzione esattamente opposta, agli antipodi, lontanissima – anche volendo sorvolare sulla drammatica questione pandemica – rispetto alle vere priorità degli europei e del loro futuro. E che tale allontanamento dalle vere priorità avvenga per mano e per iniziativa dei massimi vertici dell’Unione europea, ecco, mette una certa tristezza.

 

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