Ora che il governo ha stanziato 10 milioni per mandare studenti e insegnanti a lezione di sessualità gay, tutti impareranno ad «aprirsi» verso le unioni omosessuali e gli altri temi dell’agenda arcobaleno. La nostra inchiesta
È ufficiale. Senza rumore, in punta di piedi, il governo italiano ha dato il via libera a un programma di istruzione degli studenti e di aggiornamento degli insegnanti secondo la visione che della sessualità e dell’affettività hanno le organizzazioni militanti sotto la bandiera gay. Si rischia di trasformare la scuola in una palestra di scontro, proselitismo e indottrinamento ideologico? Niente di tutto questo, sostengono gli “esperti” ingaggiati nell’operazione. Si tratta solo di «ampliare le conoscenze e le competenze di tutti gli attori della comunità scolastica sulle tematiche lesbo, gay, bisessuali, transessuali (Lgbt); favorire l’empowerment delle persone Lgbt nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni». E in conseguenza di «contribuire alla conoscenza delle nuove realtà familiari, superare il pregiudizio legato all’orientamento affettivo dei genitori». Come si realizzeranno questi obiettivi? Con «percorsi innovativi di formazione e di aggiornamento per dirigenti, docenti e alunni sulle materie antidiscriminatorie, con un particolare focus sul tema Lgbt e sui temi del bullismo omofobico e transfobico (…). In particolare la formazione dovrà riguardare: lo sviluppo dell’identità sessuale nell’adolescente; l’educazione affettivo-sessuale; la conoscenza delle nuove realtà familiari».
Queste, all’epoca del governo Monti, erano le “linee guida” che l’allora ministro del Lavoro con delega alle Pari opportunità, Elsa Fornero, approvò sotto l’impegnativo titolo di “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)”. Linee che vengono ora confermate e finanziate dal governo Letta.
Ripetono in molti che questa “Strategia nazionale” si sia resa necessaria per applicare una raccomandazione europea del 2010 (Cm/rec 5) uscita dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. Anche in quella sede, però, viene precisato che «una raccomandazione non è vincolante e non ha conseguenze sul piano giuridico», semplicemente «consente alle istituzioni europee di rendere note le loro posizioni e di suggerire linee di azione senza imporre obblighi giuridici». Dunque né un ministro né tantomeno i governi italiani erano vincolati a dar seguito a “posizioni” elaborate negli uffici di Bruxelles. Se ne poteva e doveva discutere pubblicamente in Italia, in parlamento, nel mondo della scuola, visto che si tratta di opinioni e non di direttive, invece che porsi problemi e agire per default, “perché lo dice l’Europa”? Evidentemente sì. Ma tant’è, a partire dal novembre 2013, il governo Letta ha ereditato la famosa “Strategia” pensando bene di finanziarla con 10 milioni di euro dei contribuenti.
Il progetto pilota in Friuli
E chi attuerà concretamente tale “Strategia”? Per decreto della presidenza del Consiglio dei ministri del 20 novembre 2012, essa verrà implementata nelle scuole grazie alle ventinove associazioni che hanno partecipato alla stesura della stessa. Associazioni tutte rigorosamente di area Lgbt e precisamente queste qui, secondo l’ordine in cui compaiono nel decreto del governo Monti: Comitato provinciale Arcigay “Chimera Arcobaleno” Arezzo, Ireos Centro Servizi Autogestito Comunità Queer, Arcigay, Comitato Provinciale Arcigay “Ottavio Mai” Torino, A.Ge.Do, Parks – Liberi e Uguali, Equality Italia, Ala Milano Onlus, Arci Gay Lesbica Omphalos, Polis Aperta, Dì Gay Project, Circolo Culturale Omosessuale Mario Mieli, Gay Center, Gay Help Line, Famiglie Arcobaleno, Arcilesbica Associazione Nazionale, Rete Genitori Rainbow, Shake Lagbte, Circolo Culturale Maurice, Associazione Icaro Onlus, Circolo Pinkus, Cgil Nuovi Diritti, Mit Movimento Identità Transessuale, Associazione Radicale Certi Diritti, Avvocatura per i Diritti Lgbt Rete Lenford, Gay.net, I Ken, Consultorio Transgenere, Libellula, Gay Lib.
Ora, secondo il decreto 104/2013 controfirmato dal presidente Napolitano, gli insegnanti saranno tenuti a partecipare a lezioni di aggiornamento per migliorare le loro competenze relative «all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere». La “teoria del genere” diviene dunque ufficialmente materia scolastica (e guai a chi pensa, discute e, eventualmente, contesta: il ddl Scalfarotto sull’“omofobia” non è lì, pronto per essere definitivamente approvato – questione di giorni, dicono in Senato – proprio per impedirlo?).
In effetti già nel 2011 il Friuli Venezia Giulia, allora governato dal centrodestra di Renzo Tondo, aveva lanciato un progetto pilota in materia. Il programma fu premiato dal presidente della Repubblica con un’onorificenza destinata alle iniziative ritenute particolarmente meritevoli. E il plauso presidenziale spalancò le porte all’applicazione di quel modello pionieristico, promosso dai circoli gay e inizialmente chiamato “A scuola per conoscerci”. Oggi, dopo l’elezione alla presidenza regionale della renziana Debora Serracchiani, quel modello è diventato un ben più impegnativo “Progetto regionale di prevenzione e contrasto al fenomeno del bullismo omofobico: rilevazione del problema, strategie d’intervento e attività di formazione”. Il compito di attuarlo spetta direttamente all’Ufficio scolastico regionale, al dipartimento di Scienze della vita dell’Università di Trieste e alle associazioni Circolo Arcobaleno Arcigay Arcilesbica Trieste e Gorizia, Arcigay Nuovi Passi di Udine e Pordenone e Arcilesbica Udine.
«Questo risultato è il frutto di più di due anni di lavoro, svolto con costanza e in maniera gratuita dai volontari delle associazioni Lgbt», spiega la professoressa Giovanna Pelamatti, rappresentante dell’ateneo triestino per la raccolta dati nelle scuole. «Abbiamo deciso di muoverci sia sul fronte scientifico sia su quello educativo. E lo scorso dicembre il progetto è stato approvato dall’assessorato del Lavoro, Formazione, Istruzione e Pari opportunità. Inizialmente la Regione ci ha assegnato solo cinquemila euro simbolici, ma ci ha messo gratuitamente a disposizione alcuni psicologi. Presto saranno stanziati i fondi necessari per tutto il 2014».
Ma niente “teorie riparative”
Il programma, già avviato nei licei statali, coinvolge un campione di duemila studenti rappresentativi di ogni tipologia di scuola superiore e di tutto il territorio regionale. «Ci occupiamo – racconta Pelamatti – di distribuire questionari a studenti, docenti e personale amministrativo delle scuole per monitorare il livello di omofobia». Domandiamo cosa si intende nei questionari distribuiti per “omofobia”. «Come “cosa si intende”? Chiediamo quante volte alunni e docenti hanno assistito o partecipato a comportamenti fisici ma anche verbali offensivi nei confronti degli omosessuali e come hanno reagito». E se un alunno avesse sentito dire da qualcuno, mettiamo in casa, che “l’omosessualità non è naturale”, avrebbe dovuto segnalarlo nei questionari come “comportamento omofobico”? «Certo. Il nostro scopo è contrastare ed eliminare gli stereotipi. E abbiamo successo. Nelle scuole dove è già stata svolta un’attività educativa analoga alla nostra non c’è più traccia di pensieri omofobici, neppure tra gli studenti più refrattari alle regole. Sono questi i risultati che hanno portato il presidente Napolitano a premiare i circoli Arcigay. E altre Regioni, come l’Emilia Romagna, il Piemonte e la Basilicata, a chiedere di esportare il progetto».
Quali sono i contenuti essenziali? «Insegniamo la “teoria del genere”, tra i cui contenuti fondamentali c’è che, indipendentemente dal sesso biologico, si può e si deve essere liberi di scegliere il proprio orientamento sessuale. Certamente poi moduliamo le lezioni, visto che riguardano un pubblico di studenti compreso tra la terza media e l’ultimo anno di liceo». Nelle classi, continua la professoressa, si affronta anche il tema «della flessibilità, per dire che non siamo mai uguali a noi stessi e possiamo cambiare», fino alla questione delle «famiglie omosessuali e dell’adozione. Sempre in chiave di “normalità”, perché il nostro obiettivo, ripeto, è combattere l’omofobia».
A delineare nel dettaglio questo tipo di insegnamento è il responsabile della formazione del progetto, il professor Davide Zotti, presidente del Circolo Arcobaleno Arcigay e Arcilesbiche di Trieste e Gorizia: «Spieghiamo che l’identità sessuale è una costruzione frutto di diversi dati. C’è quello relativo al sesso biologico, per cui una persona nasce maschio o femmina. C’è l’identità di genere, che può essere diversa da quella biologica, perché una persona può non riconoscersi in essa. Esiste poi il ruolo di genere, quello che ci è imposto dalla società e dalla cultura attraverso il cliché secondo cui i maschi hanno certe caratteristiche diverse dalle femmine. E poi c’è l’orientamento sessuale, che include l’attrazione verso le persone del proprio sesso e che è naturale, innato: sfatiamo il mito che sia un problema derivante da vissuti particolari o da traumi».
Ovviamente però, continua Zotti, non saranno presentati i percorsi legati alle cosiddette “teorie riparative”, che dimostrano che le persone con emozioni omosessuali possono cambiarle. Nella conversazione con il nostro interlocutore a questo punto nasce un piccolo screzio. Perché non spiegate anche le cosiddette “teorie riparative”? Esiste anche una letteratura al riguardo. Circolano testimonianze. Persone che provavano disagio nel vivere la propria omosessualità e che in seguito a un certo approccio psicoanalitico sono cambiate. «Veramente non mi risulta. Comunque alcuni sanno già che cosa vogliono a tredici anni, altri lo decidono più tardi». Non le sembra rischioso questo determinismo? Si potrebbero confondere i ragazzi nella fase delicata dell’adolescenza. «Ma come fa una giornalista a parlare ancora così? Si vergogni!».
Anche a Roma l’assessorato alla Scuola ha approvato per l’anno scolastico in corso la campagna “Lecosecambiano@Roma”, con il fine di contrastare il bullismo omofobico tra gli studenti delle superiori. E anche in questo caso sono stati stanziati fondi per ricerche sul fenomeno “omofobia” e programmati incontri formativi con la partecipazione di esponenti del mondo della cultura, del cinema, del teatro e della medicina. Fra gli altri spiccano i nomi di Serena Dandini, ex madrina del Gay Pride, di Maria Sole Tognazzi, firmataria della lettera inviata al sindaco Marino per invitarlo «a chiedere agli insegnanti di parlare di omosessualità, di bisessualità e transessualità», di Francesca Vecchioni, che nel 2012 venne immortalata sulla copertina del settimanale Chi insieme alla sua compagna e alle due gemelline concepite con fecondazione eterologa in Olanda.
Il Comune di Venezia si distingue invece per un “Piano di formazione 2013-2014” riservato alle “educatrici e insegnanti dei servizi per l’infanzia comunali” che ha «l’obiettivo di aumentare le informazioni relative alle nuove tipologie di famiglia in Italia» e «di accrescere la conoscenza sulle famiglie omogenitoriali e sui loro bambini». Tiziana Agostini, assessore alle Politiche educative, spiega a Tempi che «tutto è nato dal fatto che nelle nostre scuole abbiamo famiglie omogenitoriali. Quindi il progetto mira alla formazione delle educatrici per la comunicazione e all’apertura verso le famiglie omosessuali».
Quegli sguardi sessisti
Nell’ordinamento legale italiano, però, non esiste una tale tipologia di famiglia. “Rispetto della legalità”. O no? «Io parto da quello che è la realtà e che bisogna accettare per non creare disordini», replica Agostini. Ma secondo questa linea del “non creare disordini”, quante cose illegali e reali che ci sono in giro dovremmo accettare? Non potrebbe, questa logica dell’ineluttabile, accendere un disordine ancora più grande nei bambini piccolissimi? «Io non posso farci niente se i fatti stanno così. E come assessore con delega alla Cultura delle differenze mi spetta di agire: qui ci dobbiamo preoccupare che sia tutto ben ordinato e rassicurante per i nostri bimbi. Questo è il ruolo che mi è stato assegnato. Ed è quello che ci richiede una società pluralista e laica». Ma è rassicurante un’enfasi psicologista che – sono le parole usate nel progetto formativo – suona così: «Succede talvolta che gli sguardi e le parole che gli adulti rivolgono ai bambini veicolino una valorizzazione o una svalutazione legate al maschile e al femminile che si insinua negli esempi, nei giochi e nei giocattoli, nei libri letti, nelle filastrocche e nelle fiabe, nei modi di dire»? L’assessore rincara: «Se è per questo anche parlare di colori “maschili” e colori “femminili” non è rassicurante e serve solo a ipostatizzare i bambini e a ghettizzarli in stereotipi». Il rosa e l’azzurro ipostatizzano e ghettizzano? «Certo. È per causa di questi steccati ideologici che poi la società è divisa e frammentata».