16/02/2022 di Manuela Antonacci

Ecco perché Adele è stata massacrata per avere detto «sono felice di essere donna»

Per la prima volta i Brit Awards, i premi dell’industria discografia del Regno Unito, si sono adeguati alla moda gender fluid anche nelle categorie per l’assegnazione dei premi: non più artisti maschili e femminili, per non scontentare quegli artisti “non binari” che, diversamente, secondo l’attuale mentalità del politicamente corretto, si sentirebbero in qualche modo discriminati.

Così la cantante Adele, che nei Brit Awards precedenti aveva vinto per due volte nella categoria come miglior artista donna, quest’anno è stata insignita semplicemente del premio di “miglior artista dell’anno”.

Un riconoscimento che non l’ha entusiasmata troppo e che ha commentato così: «Capisco perché il nome di questo premio è cambiato, ma amo davvero essere una donna ed essere un’artista donna. Lo voglio. Sono davvero orgogliosa di noi, davvero».

Insomma, la famosa cantante ha evidentemente rivendicato non solo il suo essere artista, ma, soprattutto, il suo essere un’artista donna e non un essere neutro e indefinito. L’identità è una cosa seria, ancora per molti e per Adele, evidentemente, non può essere disgiunta neanche dal suo ruolo di artista.

Eppure questa sua legittima rivendicazione ha suscitato un vespaio di polemiche, al punto che il suo pensiero è stato bollato come “transfobico” o, ancora più precisamente “terf”, il termine usato per etichettare una “femminista radicale trans-escludente” e che nei mesi scorsi è stato utilizzato per marchiare anche la scrittrice e autrice di Harry Potter J.K. Rowling.

Nel caso della cantante in questione, poi, si tratta di polemiche veramente inutili, per non dire sterili, se non altro perché Adele ha sempre manifestato apertamente il suo sostegno alla comunità Lgbtqi+ e stavolta si è espressamente solamente nei confronti di se stessa e del suo essere donna, senza citare minimamente gli altri, tantomeno le persone transessuali o non-binarie.

 Allora viene da pensare che, semplicemente, le battaglie contro la “discriminazione di genere” portate avanti dalle lobby Lgbt non mirino a combattere davvero pregiudizi e violenze, ma a punire chi non abbraccia con convinzione il loro stesso modo di vedere la realtà.

 

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