Le elezioni europee si compiono nel segno di una tenuta delle forze di governo ma con proporzioni rovesciate. Rispetto alle Politiche di un anno fa, la Lega raddoppia i consensi e vola dal 17% al 34%, mentre, al contrario, il M5S crolla dal 32% al 17%. Risale la china il Pd (dal 19% delle politiche al 23%), cresce Fratelli d’Italia (dal 4% al 6%), cala invece Forza Italia (dal 14% al 9%).
Nella prospettiva di Pro Vita & Famiglia è impossibile non notare una crescita delle liste che hanno mostrato un atteggiamento favorevole (o quantomeno non ostile) ai principi della vita, della famiglia e della libertà d’educazione. Lega e Fratelli d’Italia, che hanno complessivamente guadagnato il 19% dei consensi, sono le formazioni politiche che hanno espresso il maggior numero di candidati firmatari del Manifesto di Pro Vita & Famiglia.
In attesa di conoscere i nomi degli eletti al nuovo Europarlamento, va preso atto che la debacle pentastellata si associa a una costante del dibattito politico da una dozzina d’anni a questa parte. Lo sanno bene Renzi e il Pd, che, dopo l’approvazione delle unioni civili all’inizio del 2016, iniziarono a perdere tutte le elezioni amministrative, incassando la storica sconfitta al referendum costituzionale, fino al minimo storico del 18,7% delle Politiche dello scorso anno. “#Renziciricorderemo” è l’indimenticato striscione esposto al Family Day del 30 gennaio 2016: gli elettori furono di parola e castigarono severamente alle urne il Partito Democratico e tutti i suoi alleati di governo. In quell’occasione, l’aggravante fu rappresentata dall’intromissione del governo in un Ddl Cirinnà che, per quanto eticamente inaccettabile, nasceva in ambito squisitamente parlamentare: Renzi promise che non avrebbe messo la fiducia sulle unioni civili, salvo poi rimangiarsi clamorosamente la parola.
Un precedente era stato il primo tentativo di approvazione delle unioni civili (allora chiamate Dico) nel 2007: il Ddl Bindi-Pollastrini venne però contestato dal primo Family Day nel maggio di quell’anno e venne quindi accantonato. All’inizio dell’anno successivo il Governo Prodi veniva sfiduciato e alle elezioni politiche del 2008, il centrosinistra subiva una pesante sconfitta alle Politiche.
Una dinamica simile si è ripetuta in occasione delle Europee 2019. Almeno quattro sono state le esternazioni contro la famiglia del vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico e del Welfare, Luigi Di Maio. «Si prepara un festeggiamento di un nuovo medioevo che io non vado a festeggiare», dichiarò di Maio lo scorso 14 marzo, ai giornalisti che gli chiedevano un commento sull’imminente Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona. E rincarò la dose: «Benedico tutte le istruttorie che hanno aperto a Palazzo Chigi per tornare indietro su quel patrocinio». Riferito ad alcune associazioni coinvolte nella promozione del Congresso, disse: «Più che destra sono degli sfigati. Quella visione della donna sostanzialmente mero angelo del focolare non rappresenta niente della cultura del M5s. Chi vuole tornare indietro ne risponderà alla storia, neanche agli elettori».
Parole quantomeno ardimentose, nella misura in cui Matteo Salvini e la Lega, alleati di governo, avevano esplicitamente appoggiato la kermesse veronese, con il patrocinio delle regioni Veneto e Friuli e con la partecipazione di tre ministri.
A congresso iniziato, Di Maio rilanciò: «Io non faccio propaganda sulle famiglie. Tutti le abbiamo a cuore, il tema sono le soluzioni al problema. Se la soluzione è fomentare odio o sminuire il ruolo della donna per me non lo è».
A meno di due settimane dal voto, la mossa più clamorosa: il ritiro della candidatura di Alessandro Mureno, sindaco di Cagliari, pentastellato “eretico”, in quanto dichiaratosi antiabortista e a favore della famiglia naturale.
Contegno incomprensibile quello del vicepremier pentastellato, vuoi perché ha versato benzina sul fuoco di un equilibrio di maggioranza, sempre più traballante, vuoi perché contraddetto dalla sua stessa proposta di sostenere le famiglie con un Ddl ad hoc.
Attaccare la famiglia (con dichiarazioni, come ha fatto Di Maio, o con riforme “arcobaleno”, come ha fatto Renzi) non fa guadagnare voti a nessuno. Tutt’altro. Non tutti i politici, però, sembrano averlo compreso.
Luca Marcolivio