Elisa Boscarol è una giovane e coraggiosa opinionista, attiva sul suo canale YouTube “Il Mondo Nuovo 2.0.”, oltre che su diverse altre piattaforme social. La definiamo “coraggiosa” perché serve ardimento, oggi, per incarnare la nota profezia di Chesterton. Elisa infatti da tempo sguaina spade per affermare che due più due fa quattro, un concetto assolutamente sovversivo nel “Mondo Nuovo” in cui viviamo, che le ha ispirato il nome del canale e che pare richiamare direttamente la distopia evocata da Aldous Huxley la bellezza di 92 anni fa. Ma non è solo questo. Elisa, infatti, è stata recentemente e in modo feroce attaccata – verbalmente – durante un convegno, da alcuni attivisti all’apparenza femministe e pro Lgbt.
Ma andiamo con ordine e abbiamo chiesto conferme direttamente a lei, raggiungendola telefonicamente. «Confermo», ci dice, «il nome del canale nasce proprio da questa sensazione di scollamento dalla realtà che si registra in questi tempi e che richiama angosciosamente alla mente proprio la distopia descritta da Huxley, con la sua deriva tecnoscientifica, che non usa la violenza per imporsi, ma semplicemente induce le persone a conformarsi a un determinato pensiero». Effettivamente non c’è una psicopolizia evidente, come nella distopia orwelliana: pare anzi che le persone siano indotte a volere e a sentirsi felici dei sistemi di autodistruzione che gli vengono proposti.
Sì, ma di cosa stiamo parlando? «Il tema più evidente, in questo senso, è l’ideologia gender. Ho visto che in Italia pochi si ponevano in un atteggiamento critico rispetto a quel tipo di deriva, in sostanza soltanto voi di Pro Vita & Famiglia e le femministe radicali. Così ho deciso di aggiungere la mia voce e le mie riflessioni in merito». Due mondi molto diversi, incompatibili in realtà. «Vero ed è un peccato. Io stessa sono stata femminista militante in passato, poi ho capito che si tratta di un’altra ideologia basata su presupposti fallaci… In ogni caso ho sperato e continuo a sperare in un’alleanza anche di soggetti molto diversi, per fare in modo che due più due torni a fare indiscutibilmente quattro. Fatto questo si può tornare a dividersi sui più diversi temi, ma intanto sarebbe il caso di impegnarsi insieme per ripristinare la logica e il criterio dei fatti». Anche perché quello è un criterio che risulta refrattario alla politicizzazione forzata che oggi va di moda un po’ su tutto e in effetti Elisa mostra chiaramente il suo sforzo di voler fare divulgazione senza parteggiare per questo o per quello, ma solo basandosi sul confronto rispettoso di opinioni basate sui fatti. Il suo modus operandi, infatti, è quello di invitare sul suo canale anche persone dalle idee diametralmente opposte alle sue e sotto i suoi video lascia sempre collegamenti a contenuti concordi con le sue opinioni, ma anche discordi.
«I social media», conferma Elisa, «sono parte integrante del processo. Sono indispensabili per indottrinare le menti giovani, specie quando si tratta di derive come quella gender. I giovani hanno bisogno di un sistema di idee riferimento, specie se queste vengono spacciate come “dalla parte del bene”, e cosa c’è di meglio di paradigmi che si vestono di concetti come “inclusione”, “accettazione del diverso” e così via? Sono tutti cavalli di Troia, in realtà, con cui si illude un gran numero di persone, specie giovani, fornendo loro degli pseudo-valori ipersemplificati con cui sentirsi “pieni” e realizzati in qualche misura». È con questo meccanismo che patenti bugie vengono spacciate per verità, come la questione del sesso biologico, del genere percepito e così via. E pur nell’apparente diversità, pare esserci una convergenza di tutte queste ideologie, dal gender al femminismo, verso un obiettivo unico: la distruzione dell’identità degli individui e di quella forma associativa di base che è la famiglia. «Hanno molte cose in comune», conferma Elisa, «appunto i bersagli principali, individui e famiglia, ma hanno anche logiche interne analoghe. Si tratta di ideologie che sopravvivono soltanto se individuano un acerrimo nemico da combattere e pur di averlo non temono di cozzare contro i più elementari principi di realtà».
Rimane un punto misterioso, in tutto questo: come ha fatto l’ideologia gender concepita da John Money e Alfred Kinsey negli anni ’50 del secolo scorso, e i cui fallimenti sono risultati evidenti al mondo, a rispuntare ai nostri tempi in modo così dirompente e diffuso? «C’è una responsabilità istituzionale», riflette Elisa. «Da molti anni, molto in sordina, il genderismo è stato inserito in linee guida, direttive, leggi internazionali e nazionali e il tutto si è affermato grazie a quello che ai tempi era un nuovo e potente veicolo, internet e i social, cui hanno fatto eco naturalmente ai gli ordinari media mainstream, pronti a far passare il tutto come una “lotta per i diritti” o per “l’inclusività”». Eppure un problema parrebbe esserci, pare che siano numerose e sempre più pronte a manifestarsi le persone con problemi di connessione con il proprio corpo. «Esistono e si tratta di persone che soffrono, con cui io empatizzo pienamente perché dev’essere una condizione di pena terribile quella di non sentirsi in accordo con il proprio corpo sessuato. Tuttavia da qui a dire che si può essere del sesso opposto ce ne passa e mi trova indisponibile, come qualunque concetto che, banalmente, neghi la realtà delle cose o, peggio, costringa altri a negarla».
Eppure questa negazione, oltre a innescare un ricchissimo business legato alla presunta trasformazione dei corpi, fornisce “un senso” a molte esistenze. «Questo è ancora più vero per le giovani generazioni», chiosa Elisa, «che sono state private dei più elementari punti di riferimento. I “ruoli” non vanno bene perché sono stereotipi e in cima a tutto si è messa la libertà più assoluta, che come tale genera confusione, non può essere effettivamente fruita e lascia spazio all’irrazionalità e a valori posticci che rubano tempo ed energie alle persone. In questo modo si creano le condizioni per cui una persona come me deve aprirsi un canale YouTube e andare in giro per conferenze con l’unico scopo di dire cose straordinarie e incredibili, tipo che i sessi sono due, la donna è femmina e l’uomo e maschio…».
Talmente incredibili che infatti spesso ingenerano vere e proprie aggressioni, come quella che Elisa ha subìto il 27 febbraio scorso al Caffè San Marco di Trieste dove moderava la presentazione di due libri considerati “inaccettabili” dalla comunità LGBT locale. «Sì, in una presentazione con dieci persone e tre relatori si sono presentati in una “squadraccia” di venti, urlando e gettando acqua alle persone, lanciando bustine di zucchero e accerchiando chi cercava di calmarli e allontanarli. Hanno sottratto alcune riviste dal tavolo e quando uno dei presenti ha cercato di togliergliele hanno cominciato a urlare slogan contro la violenza degli uomini e del “patriarcato”». Probabilmente, conoscendo i soggetti, non aspettavano altro che un minimo contatto fisico per far partire la lagna, perché il vittimismo è parte integrante della loro weltanshauung, se la si vuole chiamare così. «Esatto. Ma attenzione: questi ragazzini pensano di essere nel giusto, non agiscono per malvagità, si sentono davvero minacciati da ciò che noi diciamo. Credono fermamente di essere odiati perché non riconosciamo il loro essere “non binari”, mentre in realtà ci limitiamo a dire che il concetto in sé di “non binario” non significa nulla nei fatti. E ciò non nega che dev’essere atroce desiderare di essere qualcosa che non si è e non si può essere, è un tipo di sofferenza verso cui va tutto il mio rispetto e la mia solidarietà. Ma da tale sofferenza non può discendere che una cosa non vera diventi vera, che tutti debbano riconoscerla come tale rinunciando alla libertà di parola, indispensabile proprio per dire la verità, pena l’aggressione di tipo squadrista o la distruzione della reputazione a reti unificate».
Viene in mente, in questo senso, la cosiddetta “carriera alias”: per averla negata a una sua allieva, di recente un insegnante del Liceo Cavour di Roma si è visto sbattuto in prima pagina come il peggior mostro d’Italia. Come se chiedere a un insegnante di affermare ciò che non è vero fosse cosa del tutto normale e non contraria all’etica stessa del docente. «A questo si può aggiungere la gran massa di omosessuali, lesbiche e bisessuali che non si riconoscono assolutamente negli eccessi, nell’ideologismo e nella politicizzazione dei movimenti LGBT. Restano silenti, pur essendo una schiacciante maggioranza, per timore delle ripercussioni, perché sanno che chi promuove le varie ritorsioni e iniziative punitive è spietato e ha l’appoggio pressoché incondizionato dei media».
D’altra parte il genderismo non è che una branca del più ampio movimento dei “guerrieri per la giustizia sociale” (Social Justice Warriors). Visto il nome ci si può attendere che siano aggressivi nel difendersi da quello che percepiscono come “oppressore”. «Qui c’è il cuore profondo della questione. Il noto psichiatra canadese Jordan Peterson parla con ragione di questi soggetti come di “modernisti neo-marxisti”. E in effetti dal marxismo rubano letteralmente la logica della dialettica oppressore/oppresso, la discorcono fino a renderla irriconoscibile, riuscendo così a costruirsi un sistema di idee dove hanno la possibilità di reclutarsi nelle armate minoritarie e avanguardiste del “bene” a difesa degli oppressi, in lotta perenne contro un mondo popolato da oppressori. È chiaro che un sistema di idee del genere, volgare e ipersemplificato, attecchisce con grande semplicità presso i giovani, diventa una posa, una moda, che però a lungo andare svuota gli individui di contenuti autentici e dissipa il loro tempo. Cose di cui, purtroppo, chi oggi si lascia irretire da queste ideologie si accorgerà soltanto in una fase di maturazione avanzata, sempre che tale maturazione arrivi. Perché prima di arrivare ai farmaci bloccanti della pubertà deve esserci un’ideologia bloccante del pensiero. Questa è, anche, l’ideologia gender».
La domanda più difficile però resta questa: come se ne esce, escludendo a priori conflitti frontali? «La situazione è diversificata a seconda dei paesi. In Italia, come al solito, siamo indietro. Mi tengo stretta: da noi il 90% non ha la più pallida idea di cosa sia l’ideologia gender. Al massimo ne ha un’idea vaga, mediatica, quindi distorta, con l’unico punto chiaro che chi ne parla è un odioso medievale omofobo e transfobico. A questo livello, se si parla d’Italia, l’unica cosa possibile è cercare di fare informazione. I canali disponibili sono pochi, ma vanno usati appieno». Che è poi la strategia globale a cui Elisa sta contribuendo con ferma correttezza, grande lucidità e, come dimostrano le aggressioni subite, anche con efficacia. Per questo, e per il fatto che il tutto è portato avanti da una donna appartenente a una giovane generazione, il consiglio è di seguire le sue presentazioni dal vivo e seguirla assiduamente sul suo canale YouTube.