Produrre embrioni umani in laboratorio, congelarli per farli durare più a lungo. Salvo – poi – buttarli via quando “scadono”, come i bastoncini di pesce.
Questi i primi passi dei novelli dottor Frankenstein che si ammantano di nobili intenti “progressisti”.
Fatti i primi passi, seguono le logiche conseguenze: si pretende di poter sperimentare, usare “a fin di bene, sempre per il progresso” quegli esserini congelati destinati al secchio delle immondizie: già che ci siamo, perché sprecarli?
E certamente “il progresso” non si arresta: inizialmente i minuscoli bambini (non è il termine scientifico appropriato per gli embrioni? Pazienza. Nella sostanza sono bambini) venivano coltivati in provetta per 8 – 10 giorni. Oggi, con sussiego e arroganza, i dottor Frankenstein si vantano di riuscire a far sviluppare quei piccoletti fino al 14° giorno.
E potrebbero andare oltre: ma alcuni si sono auto-imposti questo limite perché a 14 giorni, se per caso nella provetta ci fossero due gemelli, questi comincerebbero a distinguersi. Invece quando erano indistinti si potevano manipolare a piacimento... Altri, cominciano a chiedersi perché. Logicamente – c’è buona parte della comunità scientifica che pretende di superare detto limite.
Il dottor David Prentice, professore di genetica molecolare e membro del comitato consultivo per lo Stem Cell Therapy Center Midwest, ha ribadito su Life News che la regola di 14 giorni è di per sé arbitraria. Il nuovo essere umano ha inizio nel momento della fusione spermatozoo-uovo. Per di più, nonostante il massacro di piccoli innocenti che viene perpetrato da decenni, la ricerca sugli embrioni umani non ha prodotto alcun beneficio oggettivo e sostanziale, finora. I progressi nel campo della cura delle malattie sono stati fatti con le cellule staminali adulte (quelle che si prelevano da tessuti di soggetti adulti, come il cordone ombelicale o il midollo spinale, senza sacrificare nessuno).
Osiamo andare oltre: se anche fosse utile smembrare un embrione fatto ad hoc per salvare una vita umana NON si potrebbe e non si dovrebbe fare: l’essere umano è solo e sempre un fine. Non può essere un mezzo. Sacrificare il piccolo per salvare il grande è un arbitrio disumano.
E’ ovvio, però, che per la mentalità di Frankenstein il limite dei 14 giorni è destinato a essere superato. Del resto, da decenni l’industria dell’aborto non considera il bambino un umano fino a che non nasce, in molte legislazioni “democratiche”. In Italia, per futili motivi, si può abortire fino a 6 mesi, e anche oltre.
L’Indipendent, giorni fa, cui ha fatto eco il nostro Corsera, ha salutato con tono trionfalistico il “progresso” della scienza. Anzi: sottolineano che per tutti questi giorni l’embrione si è sviluppato senza bisogno di dialogare con la madre.
Grazie: il vetro della provetta non c’era bisogno di “avvisarlo”: “Ehi, sono qui, non mi espellere sono tuo figlio”; né gli si può chiedere – alla provetta – di aprirgli la strada, attraverso i villi delle tube (che non ci sono), e verso l’utero (che non c’è).
Il Corriere ha presentato la questione con un sottinteso: “Vedete, la madre non serve!”. La cosa non ci sorprende. L’embrione è un soggetto altro – diverso – dalla madre. Dotato della sua autonomia e della sua capacità di organizzazione e determinazione. Su questo dovrebbero riflettere quelli che ancora parlano di “grumo di cellule” e di “utero mio e lo gestisco io”.
Se non avete ancora letto Il Mondo Nuovo di A. Huxley, è davvero giunta l’ora. Non potete più aspettare. Forse, a proposito di letteratura, alcuni potrebbero obiettare che il riferimento al dottor Frankenstein è fuori luogo: il personaggio di Mary Shelley assembla una specie di “mostro”, i bambini che nascono dopo concepimento in provetta (quelli che nascono, 1 su 12) sono tanto carini...
Aspettiamo a dirlo. I più vecchi di loro non hanno ancora 40 anni. Non sappiamo ancora che conseguenze porta, effettivamente, l’essere stati assemblati su un vetrino, l’aver trascorso 14 giorni a “dialogare” con una provetta, e un tempo indeterminato sotto zero nell’azoto liquido.
Alcune cose invece le sappiamo: per giocare con la vita dei bambini, bisogna prelevare (con le buone o con le cattive) gli ovuli da donne che rischiano danni seri alla salute.
E sappiamo anche che dal 13° giorno, in 3-4 millimetri di “grumo di cellule”, c’è un cuoricino minuscolo che il 18° batte.
Francesca Romana Poleggi
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