Avvocato Marzetti, la didattica in presenza è ripresa ieri in varie regioni. Le incertezze, però, permangono anche per colpa delle diatribe politiche. Quanto a lungo potrà ancora reggere questa situazione?
«Al momento attuale, purtroppo, stiamo ancora vivendo un’emergenza, quando invece, a un anno dall’inizio di questa pandemia, sarebbe opportuno avere una gestione della situazione. Presupposto fondamentale dell’emergenza è l’utilizzo di strumenti di emergenza quali possono essere quelli di un dpcm, mentre con una gestione ordinaria, si dovrebbe tornare ai criteri classici legati al Parlamento. Sul futuro dei nostri figli non può essere un unico soggetto – o comunque un gruppo ristretto – a decidere: riguarda, al contrario, una delle scelte fondamentali rappresentative della politica. A maggior ragione, questo significa che il tema non può essere lasciato all’autonomia regionale, perché una totale autonomia comporterebbe forti disparità tra una regione e l’altra. Per questo la gestione va svolta a livello nazionale».
Quali sono le conseguenze più gravi che si rischiano sulla salute dei minori e delle loro famiglie?
«È chiaro che la scuola e lo sport sono due presupposti fondamentali nell’equilibrio psico-fisico dei nostri ragazzi. Per questo, in un periodo di emergenza come quello di una pandemia, sono stato tra i primi a richiedere la chiusura delle scuole per mettere in sicurezza gli studenti. Oggi però, dopo quasi un anno, se ci sono le condizioni per riprendere la scuola e lo sport, è necessario che ci si attivi perché entrambi questi settori possano ripartire. Questa ripresa è finalizzata soprattutto ad accompagnarli durante il giorno e a riattivare un sistema che, purtroppo, molte volte, ha generato gravi casi di depressione e di mancanza di stimoli. Una delle conseguenze di questa situazione sono le manifestazioni che i ragazzi stanno portando in piazza, con la richiesta di tornare il prima possibile a una normalità o, in altri casi, di un ritorno a scuola in condizioni di sicurezza, nei limiti di quanto si può fare in un momento di pandemia, con delle restrizioni e seguendo delle regole».
Il troppo tempo trascorso in casa, conduce i bambini e i ragazzi a un’accresciuta dipendenza da social, giochi online e simili. E a volte queste dipendenze generano tragedie come è avvenuto nei giorni scorsi ad una bambina di dieci anni con TikTok. Qual è la sua posizione a riguardo?
«I fatti di cronaca degli ultimi giorni sono assai drammatici ed evidenziano quello che stavo spiegando, cioè che i ragazzi hanno bisogno di un impegno quotidiano, altrimenti si rischia un uso spropositato dei social. Anche per questo ho suggerito tre punti essenziali per quanto riguarda i social e, in generale, questa situazione che si sta creando. Il primo punto riguarda i social, che necessitano regole ben chiare: non regole solo sulla carta ma regole che si possano ottemperare. Di conseguenza, quando si scovano siti ritenuti pericolosi, questi vanno chiusi istantaneamente, ancor più di quanto si può fare oggi. A maggior ragione, queste regole devono essere chiare nel definire l’utilizzo dei social da parte dei minori. Il secondo punto prevede corsi di formazione per le famiglie, per aggiornare su quelli che sono i rischi del web e per spiegare ai genitori come comportarsi, nel caso in cui si accorgano che i ragazzi possono diventare vittime di questi social. Il terzo punto impegna a investire sulla polizia postale alla quale vanno dati nuovi strumenti e nuove risorse umane: è importante perché stiamo parlando del soggetto che si occupa di tutelare i nostri ragazzi dall’attacco virtuale a cui in questi giorni stiamo assistendo».