Il “metodo Bibbiano” non finisce mai di stupire e inquietare. A pochi giorni dal rinvio a giudizio di ventiquattro persone coinvolte nell’inchiesta sugli affidi illeciti, una vicenda particolarmente sconvolgente emerge a Bologna. Per A.C., quattro anni a ottobre, il caso è ancor più grave, in quanto la piccola è affetta da grave disabilità, consistente in scafoplagiocefalia e ritardo dello sviluppo psicomotorio. Il Tribunale dei Minorenni di Bologna ha recentemente disposto il ritorno della bambina dal padre, Franco Conti, e dalla madre, Daniela Lambertini, ma, come si vedrà, la giustizia non è stata ancora pienamente ripristinata e i punti controversi su cui fare luce sono parecchi.
Per molto tempo, a livello giudiziario, la vera natura della patologia di A. non è emersa e, quando lei aveva dodici mesi, i servizi sociali – ai quali i coniugi Conti avevano chiesto aiuto – l’hanno allontanata dai genitori. Dalle carte del contenzioso giudiziario, tuttavia, viene fuori che i servizi sociali erano al corrente di cosa soffrisse realmente la bambina. Ciononostante, avevano attribuito determinati comportamenti – la difficoltà di nutrimento su tutti – alla cattiva condotta della madre Daniela, giudicata incapace di accudirla. Le crisi epilettiche di cui soffriva la bambina erano state scambiate dai servizi sociali per una reazione disperata all’inadeguatezza materna. La madre era stata persino accusata di “divertirsi” a svegliare la figlia durante il sonno notturno.
Per alcuni mesi, madre e figlia vengono ospitate presso la struttura d’accoglienza “La Venenta”, adibita per bambini in difficoltà, alcuni dei quali in compresenza delle madri. In questo contesto, la situazione degenera, allorché, durante i violenti attacchi epilettici di A., alcuni operatori scambiano quelle crisi per una disperata richiesta di cibo, che la madre – a loro dire – sovente le negherebbe. Cosicché nell’ottobre 2017, il Tribunale dispone che la bambina venga tolta ai genitori e portata prima ad una famiglia di Bologna, poi ad una famiglia di Pesaro. Per due anni i coniugi Conti devono fare avanti e indietro tutti i weekend, per poter incontrare la figlia per non più di due ore presso una struttura “terza”, per lo più sotto lo sguardo vigile di un operatore. In questa fase, le pressioni psicologiche sulla madre erano divenute tali che lei stessa si era quasi autoconvinta di essere un pessimo genitore.
Lo scorso settembre, il ricorso fatto dagli avvocati dei Conti, Nicola Neri Bernardi e Rita Ronchi (supportati in questa causa da consulenti psicologi che assistono gratuitamente la famiglia e dalla dottoressa Morselli, impegnata da anni nella tutela dei minori e ideatrice del flash mob su Bibbiano), ottiene che tali incontri avvengano non più monitorati. Il primo incontro “libero” tra genitori e figlia ha luogo però soltanto due giorni prima di Natale. “Ho dovuto quasi litigare con i servizi sociali, perché potessero vederla da soli”, spiega a Pro Vita & Famiglia l’avvocato Neri Bernardi. Contestualmente la signora Conti ha rifiutato di stabilirsi in una comunità assieme alla figlia, in quanto questa soluzione avrebbe comportato l’esclusione del padre.
Dopodiché, lo scorso marzo, il Tribunale incarica ambo le parti in causa a preparare un graduale “progetto di rientro”. I servizi sociali propongono di far incontrare la bambina in una struttura, poi giudicata non adatta alla sua patologia dai legali della famiglia. Questi ultimi, da parte loro, ottengono che gli incontri tra A. e i genitori continuino ad avvenire nella struttura di sempre, estesi all’intero weekend. Dopodiché, se i signori Conti – nell’ottica del Tribunale – si dimostreranno responsabili e avranno superato le loro difficoltà nell’accudimento, potranno riportare la figlia a casa entro il termine del 31 agosto. In questi ultimi mesi, i servizi sociali hanno moltiplicato le pressioni sulla famiglia. Quasi un sottile ricatto psicologico, fino al giorno in cui una delle assistenti sociali, nel corso di una telefonata arriva a dire alla signora Conti: “Visto che sono stata male interpretata, a questo punto non vi dirò più come sta la bambina”.
C’è poi il risvolto economico di tutta vicenda giudiziaria. Gli avvocati Neri Bernardi e Ronchi hanno chiesto quali siano i costi sostenuti dagli enti territoriali per l’affidamento eterofamiliare in corso, senza però ottenere mai alcuna risposta. I costi di inserimento comunitario variano da € 150 fino a € 400. Gli avvocati Neri Bernardi e Ronchi sostengono che sarebbe preferibile usare detti fondi per il benessere dei minori adottando misure di supporto alle famiglie.
L’allontanamento definitivo di A. dal nucleo familiare era stato chiesto a seguito della visita medica, avvenuta nel settembre 2017, presso la struttura “La Venenta” dove era ospitata assieme alla madre. In tale visita la piccola paziente mostrava tendenza “all’iperestensione del capo”, che, alla trazione, non manteneva “allineato al tronco”; manifestava, inoltre, incapacità di afferrare gli oggetti, mentre gli arti inferiori apparivano “lievemente ipertonici”. La “motricità globale”, infine, era “povera” e non si apprezzavano “movimenti non funzionali”. Nel primo certificato medico era stato specificato che “la bambina è assistita adeguatamente a casa e in terapia”. Nelle due copie successive, pervenute in Tribunale, tale specifica era sparita…
I genitori hanno così contestato l’allontanamento, in quanto “avvenuto senza l’esperimento di una consulenza tecnica con incarico pluridisciplinare per indagare – prima di qualsiasi decisione sulla genitorialità – l’effettivo stato di salute della minore”. I servizi sociali, cioè, non avevano recepito che le patologie della bambina potevano essere di natura biologica, attribuendo la responsabilità dei suoi malesseri a cause psicologiche, ovvero a un’ipotetica relazione disfunzionale con i genitori, in particolare con la madre. Per due anni, i genitori di A. erano stati pressati dagli assistenti sociali e dalla psicologa in merito alla somministrazione dei farmaci, che doveva rigorosamente avvenire durante i pasti, poiché la bambina, presentava gravissime difficoltà nel deglutire. Avevano quindi suggerito di collegarsi via Skype con i genitori affidatari, per farsi mostrare come dare queste medicine. I coniugi Conti, tuttavia, sapevano perfettamente di quale malattia la figlia soffrisse, di quali cure avesse bisogno e come andava nutrita. A complicare la posizione dei coniugi Conti vi erano le loro difficoltà economiche, rispetto alle quali il Tribunale aveva sempre negato qualunque forma di sussidio, non disponendo alternative al di fuori dell’affidamento.
Il ritorno della piccola A.C. presso la sua famiglia d’origine non vuol dire che sia stata fatta giustizia sul suo caso. È ancora tutto da chiarire, in primo luogo, il livello di conoscenza del reale stato di salute della bambina, da parte dei servizi sociali. A livello extragiudiziario, poi, non risulterà affatto peregrina una riflessione sui risvolti economici di casi come questo e sul perché la maggior parte delle cause favoriscano soluzioni sbilanciate a sfavore delle famiglie d’origine. Fermo restando che il danno maggiore rimane quello morale e affettivo.
Va infine tenuto conto che, quando viene disposto un affidamento eterofamiliare presso una famiglia affidataria, nei provvedimenti non vengono identificati né famiglie, né luoghi, né strutture, lasciando liberi i servizi sociali di scegliere dove collocare il minore, senza alcun controllo giudiziario e senza valutazione delle spese da sostenere. Una grave lesione del diritto a preservare i rapporti familiari naturali è poi determinata dal fatto che i servizi possono collocare i minori anche fuori regione rendendo praticamente impossibile, anche per questioni economiche, la possibilità dei genitori naturali di mantenere uno stabile rapporto con i figli. Tutto è rimesso al buon cuore della famiglia affidataria. Ci sono casi in cui queste ultime fanno vedere i figli ai genitori anche di nascosto dai servizi, altri in cui interrompono totalmente ogni tipo di comunicazione, andando a ledere lo spirito della normativa sull’affidamento eterofamiliare che – giova ricordarlo – dovrebbe essere un’extrema ratio, comunque volta a ripristinare i rapporti familiari naturali.