Ha fatto bene la signora Crhistine Nagel, una nonnina canadese di 81 anni, a farsi tatuare su una spalla “Non mi praticate l’eutanasia“.
Perché dove si pratica legalmente l’eutanasia si diffonde la mentalità eutanasica e la morte diventa una specie di “cura” per tutti i malanni: certo, se ammazzi il paziente, la malattia sparisce!
In particolare c’è chi addirittura pontifica e giustifica l’eutanasia per i malati di mente, per esempio per i dementi, che andrebbe praticata anche senza il loro consenso o anche contro la loro volontà. Ne scrivevamo qui. (E anche qui, e qua)
Non ci stupisce, perciò, la notizia che ci dà Tempi, dove l’ottimo Leone Grotti scrive che «per la prima volta in 16 anni, la commissione di controllo dell’eutanasia riconosce che la legge è stata violata in modo orrendo. Ma aggiunge: “I giudici però non devono condannare il medico”»
L’anziana, affetta da demenza, aveva fatto intendere in modo chiaro di non volere l’iniezione letale ma di volere vivere, è stata ugualmente uccisa.
Ricoverata in una clinica – cosa che non voleva – non si era ambientata (si lamentava tutto il giorno). Il dottore, per «non causarle ulteriore stress», non le ha neanche detto che l’avrebbe uccisa. Anche perché la donna diceva chiaramente di non voler morire. Quindi «l’ha drogata versandole di nascosto un sedativo nel caffè. Una seconda dose di tranquillante le è stata data in seguito. Quando pareva ormai addormentata, il medico ha cominciato a praticarle una delle tre iniezioni necessarie per l’eutanasia ma la donna «ha reagito all’improvviso» cercando di tirarsi indietro. Allora il dottore, invece di fermarsi, ha chiesto ai familiari di tenerla ferma e ha terminato l’operazione. La donna è morta poco dopo».
Questo in nome della “dignità del malato” e della “autonomia decisionale del paziente”.
Redazione