Eutanasia . In Belgio i medici uccidono i pazienti senza la loro esplicita richiesta.
Dell’eutanasia e di tutti i rischi connessi a questa terribile pratica abbiamo più volte parlato per esempio qui.
Il British Journal of Medical Ethics riporta un articolo sul Belgio – una delle prime nazioni al mondo ad aver legalizzato l’eutanasia – che rivela statistiche a dir poco allarmanti.
Le richieste di “suicidio assistito” sono sempre più in aumento, ma il dato ancora più preoccupante è che si sta diffondendo l’abominevole pratica di accorciare intenzionalmente la vita dei pazienti senza una loro esplicita richiesta.
Nuove linee guida stanno dando sempre più potere ai medici di rifiutare cure “inutili” per abbreviare il processo di morte somministrando sedativi che operino in tal senso.
Lo studio pubblicato dalla rivista scientifica riporta i seguenti dati.
Nel 2013, l’1,7 % di tutti i decessi (oltre 1.700) sono stati il risultato dell’uso di farmaci di fine vita senza un’esplicita richiesta – in lieve calo rispetto al 2007 (1,8 %), e circa la metà della percentuale registrata nel 1998 (3,2 %), quando l’eutanasia non era ancora legale.
“Il numero di “eutanasie non volontarie” – si spiega nella relazione – sembra essere diminuito, ma è davvero così? In realtà, da quando l’eutanasia è stata legalizzata, i medici sono molto più preparati a discutere tale questione con i loro pazienti, e, dunque, riescono a convincerli (quindi indurli) più facilmente a ricorrere all’eutanasia volontaria. Senza contare che sempre più spesso vengono utilizzate tecniche “alternative”, come la “sedazione palliativa” che ben si distingue dalle note cure palliative, perché può indurre la morte del paziente privandoli di cibo e acqua.
Il rapporto è il risultato di un progetto di ricerca sull’eutanasia in Belgio iniziata nel 2003 da Raphael Cohen-Almagor, professore di studi politici ed internazionali presso la Hull University nel Regno Unito, appena un anno dopo la legalizzazione della cosiddetta “dolce morte”.
A due settimane dalla pubblicazione, nonostante sia stato commentato dalla stampa britannica, i media belgi “stranamente” non ne hanno fatto alcun cenno.
I risultati dello studio sono davvero allarmanti. Quando il Belgio ha imitato il suo vicino settentrionale (i Paesi Bassi) nel decidere che i malati terminali che soffrono in modo insopportabile dovrebbero poter chiedere l’eutanasia – ed anche i malati non terminali, come i tetraplegici – il punto fondamentale della legge era quello di rispettare l’autonomia dei pazienti ed agire in base al loro “libero arbitrio”.
E invece, nel giro di pochi anni, tale normativa è stata interpretata sempre più liberamente, dando spazio all’uccisione dei depressi, dei portatori di handicap e persino di quelli che sono semplicemente stanchi di vivere.
Il Belgio non è ancora arrivato ai livelli agghiaccianti raggiunti dai Paesi Bassi – anche se poco ci manca – dove l’eutanasia viene somministrata a persone che stanno sulla via della demenza o a coloro che sono incapaci di prendere una decisione consapevole.
In Belgio infatti, la richiesta e il consenso devono essere redatti per iscritto e questo dovrebbe escludere ovviamente le persone in coma o coloro che sono infermi di mente.
Lo studio di Cohen-Almagor dimostra che delle persone la cui morte viene accelerata attraverso i farmaci, più della metà superano gli 80 anni, oltre i due terzi hanno una malattia diversa dal cancro, e più di due terzi sono in ospedale. Nel 77,9 % dei casi, la decisione non è stata discussa per niente con il paziente; nel 70.1 % di questi casi, si trattava di persone in coma, mentre all’argomento della “demenza” si è fatto ricorso nel 21,1 % dei casi.
Ciò significa che i medici in Belgio decidono della vita dei loro pazienti, quando un’agonia è durata abbastanza a lungo, o quando vogliono facilitare la morte di un malato terminale, di un paziente demente e “disumanamente deteriorato”.
In altre parole, i pazienti che non sono considerati più degni di vivere.
Secondo il rapporto, i medici in Belgio agiscono sulla base della “compassione” in “situazioni mediche disperate”. Ma Cohen-Almagor fa notare quanto sia difficile definire quando una situazione sia “disperata”, e quindi stimare quanto tempo un paziente abbia ancora effettivamente da vivere, mentre i medici belgi che ammettono di aver fatto ricorso deliberatamente all’abbreviazione di vite umane attraverso questa forma “involontaria” (e illegale) di eutanasia, sono pronti a dichiarare che hanno accorciato la vita dei loro pazienti con una media di uno a settimana o anche di più nel 6,4 % dei casi.
Il rapporto rileva quindi che “la pratica di porre fine deliberatamente alla vita dei pazienti senza la loro richiesta ha luogo in Belgio più che in tutti gli altri paesi che documentano tali pratiche, tra cui i Paesi Bassi”. Un dato a dir poco preoccupante.
La Società Belga di Terapia Intensiva ha rilasciato una dichiarazione nel 2014 attribuendo la responsabilità delle decisioni di fine vita al medico di terapia intensiva. Mentre il medico cerca di trovare il consenso dei cari del paziente, la decisione finale viene presa dal “team di assistenza” che dovrebbe capire se il paziente ha una qualche prospettiva di “ripresa significativa”, qualunque cosa questo significhi.
A nessuno importa quindi ciò che desidera il paziente.
E così l’eutanasia, che è stata legalizzata al fine di rispettare l’autonomia del malato, ha messo i medici a proprio agio con l’idea di poter anticipare la morte, e la volontà del paziente ha sempre meno rilievo.
Lo studio conclude con i dati dei medici belgi che accettano (e quindi praticano) l’eutanasia: la percentuale è passata dal 78% del 2002 a più del 90% nel 2009.
Secondo Cohen-Almagor “la pressione sociale e dei colleghi rende difficile per chi si oppone all’eutanasia mantenere la propria posizione nella cultura mortifera che si sta sviluppando”.
FONTE: Lifesitenews.com
Laura Bencetti