Un libro della Cambridge University Press pubblicato da poco analizza la situazione dell’ eutanasia in Belgio.
“Eutanasia e suicidio assistito: la lezione del Belgio” è una raccolta di saggi su questioni legali, filosofiche e mediche, scritti da esperti belgi e inglesi. E’ il il primo studio interdisciplinare sull’eutanasia in Belgio.
I curatori della raccolta sono David Albert Jones, del centro di bioetica Anscombe, di Oxford, Chris Gastmans, della Facoltà di Medicina dell’università di Lovanio in Belgio; e Calum MacKellar, del Consiglio scozzese sulla bioetica umana.
Dal volume, ricco di dati e di dettagli pratici si desume innanzi tutto che l’eutanasia colpisce le persone più vulnerabili. Soprattutto ingenerando una cultura dell’efficienza, per cui chi è anziano disabile o malato viene portato a ritenersi inutile e di peso e a chiedere di essere soppresso.
Si evince poi che il sistema dell’eutanasia, nel complesso, non è trasparente. Solo 16 membri di una commissione ad hoc dovrebbero supervisionare la regolarità di migliaia di casi di eutanasia.
Il sistema, inoltre, per valutare la regolarità delle morti ci si affida all’autocertificazione. Le stime calcolate in questi 15 anni dicono che solo la metà dei casi ai limiti della legalità siano stati segnalati; delle migliaia di casi segnalati, solo uno è stato sottoposto a un pubblico ministero .
Fin dal momento della legalizzazione, avvenuta nel 2002, l’eutanasia è stata “normalizzata”, e sono andati aumentando esponenzialmente i casi di eutanasia senza richiesta del paziente.
Una volta avvenuta la legalizzazione dell’eutanasia, la morte si espande a macchia d’olio, tende a diffondersi secondo una propria dinamica e abbatte immediatamente i limiti e i paletti contenuti nella legge.
La sedazione profonda continua viene sempre più utilizzata come mezzo di eutanasia: non è un’eccezione che richiede una giustificazione speciale. Al contrario, è considerata una morte normale, un “vantaggio” che non deve essere limitato a chi ha una speciale giustificazione .
L’opinione pubblica è assuefatta e in Belgio vi è pochissima opposizione alla continua espansione dell’eutanasia e al continuo verificarsi di abusi: è stato assente un qualsiasi movimento prolife che abbia suscitato a tempo debito il dibattito e abbia svegliato le coscienze.
In Paesi come gli Stati Uniti, invece, dove i i prolife sono vigili e fanno sentire la loro voce, la strada della legalizzazione dell’eutanasia è molto più faticosa: l’opposizione conta e sono pochissimi gli Stati che sono riusciti a legalizzare il suicidio assistito.
Qui in Italia, quindi non dobbiamo arrenderci e dobbiamo continuare a far sentire all’opinione pubblica le ragioni della vita. Se le coscienze vengono destate e la morte non prevale.
Perché, si raccomandano gli autori dello studio sul Belgio, l’unico modo per evitare il dilagare della morte è resistere alle richieste di legalizzare l’eutanasia o il suicidio assistito. Vanno invece incentivate e promosse le cure palliative e l’assistenza a malati, anziani e disabili, ribadendo con forza e convinzione la preziosità di ogni vita umana.
Redazione
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