Un noto bioeticista australiano, Daniel Fleming, ha scritto un’interessante riflessione sui rischi che si corrono introducendo l’eutanasia o il suicidio assistito in un sistema economico di mercato.
Si sa, infatti, che, una volta che le procedure mediche – non solo l’eutanasia e il suicidio assistito – vengono introdotte in un particolare contesto sociale, si trovano ad essere governate secondo l’ideologia dominante in quel contesto sociale. Nelle economie di libero mercato, l’ideologia dominante è il capitalismo. Quindi la logica del profitto.
E allora, quale sarà l’impatto sul mercato dei “servizi” forniti dalle aziende sanitarie, in specie quelle private e convenzionate, della legalizzazione dell’eutanasia? E’ naturale che le imprese puntino al profitto. E per massimizzare il profitto puntano a allargare il fatturato, quindi a diffondere il “prodotto”, a ampliare la clientela... Tutti i boia in camice bianco che si specializzano nella fornitura di eutanasia pianificheranno strategie di marketing in tal senso? Perché no? Se è legale...
E poi c’è l’indotto: le case farmaceutiche che producono i veleni, le compagnie di assicurazione e gli enti previdenziali: è già un dato di fatto accertato e misurabile che nei luoghi dove l’eutanasia è legale le aziende di questo tipo traggono più profitto nel sostenere i costi dell’eutanasia piuttosto che quelli delle cure palliative o della chemioterapia: in Oregon diversi malati hanno già denunciato la cosa.
Queste sono considerazioni scomode, ma i legislatori che si accingono a legalizzare le DAT e l’eutanasia passiva che esse introducono dovrebbero ragionarci su.
Ma sappiamo bene che sono accecati dall’ideologia mortifera. E allora: “Venghino, siori, venghino! La bella morte un tanto al chilo! Offerta speciale: facciamo fuori due nonni al prezzo di uno! Ma solo per pochi giorni: affrettatevi!”
Lorenzo Ponziani
AGISCI ANCHE TU! FIRMA LE NOSTRE PETIZIONI