Praticare l’eutanasia significa commettere un omicidio. E spesso di una persona debole e ammalata, che avrebbe invece bisogno di cure e sostegno.
Su questo punto occorre essere molto chiari: la compassione, patire-cum, non può e non deve portare alla scelta di porre fine alla vita di una persona. La vera compassione rende invece solidali nella sofferenza, e in tal senso ben vengano le cure palliative. Ma uccidere non è mai una buona soluzione. Non lo è per l’aborto, come non lo è per il fine vita.
Oggi, lunedì 30 gennaio, inizia alla Camera la discussione del ddl sull’eutanasia, dal titolo apparentemente innocuo: “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari” (da cui l’acronimo DAT), testo unificato risultante da una serie di proposte più vecchie.
Nello scorso video spiegavo come sia importante non farsi ingannare dalla neolingua e riflettevo con voi sul fatto che cibo e acqua non devono essere considerate delle terapie, sulla debolezza umana di fronte alla sofferenza (e se poi, all’ultimo, si cambiasse idea?) e sul ruolo dei medici.
Nel video di oggi vi parlo con il cuore, per esperienza diretta: la malattia non è facile da sopportare ma, circondati dall’affetto e dal calore umano, ce la si può fare. E, anzi, il malato stesso può diventare fonte di frutti inaspettati anche per coloro che lo circondano.
Inoltre, è doveroso ribadire che nei Paesi dove l’eutanasia è stata legalizzata, la morte è dilagata... alle volte anche all’insaputa della famiglia e, ahinoi, anche su bambini.
Dietro l’eutanasia ci sono egoismo, profitti e una mentalità eugenetica. Vogliamo veramente che l’Italia si incammini su questa strada?
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Toni Brandi