Gli attivisti per il suicidio assistito, tanto in Italia quanto all’estero, dipingono un quadro roseo di una morte dolce e facile. Eppure, è davvero così? Scopriamolo insieme.
Nel 1931 l’eugenista britannico Killick Millard fu uno dei primi a proporre la legalizzazione dell’eutanasia con la finalità di sostituire una morte lenta e dolorosa con una rapida e indolore. Eppure, di recente, il dottor Joel Zivot, un medico della Georgia, ha espresso i suoi dubbi sul fatto che i farmaci letali siano la via giusta da seguire.
Zivot, infatti, ha studiato i rapporti dell’autopsia di più di 200 prigionieri giustiziati con iniezioni letali e ha scoperto che molti di loro potrebbero essere morti tra atroci sofferenze. Il dottor Zivot ha ovviamente sottolineato che la situazione della pena di morte è totalmente differente dal suicidio assistito vero e proprio. Da un lato l’iniezione letale viene effettuata su persone generalmente sane, mentre dall’altro riguarda una volontà di fantomatico “sollievo dalla sofferenza”. Eppure, in entrambi i casi, vengono utilizzati farmaci paralitici. Questo significa che nel momento in cui vengono somministrati, in dosi elevate, un paziente non può muovere un muscolo, né esprimere alcun segno di dolore. Però questo non significa che il soggetto in questione sia libero dalla sofferenza.
Sempre Zivot ha confermato, nelle sue ricerche, come per esempio il Pentobarbital, utilizzato su alcuni suoi assistiti in Oregon, abbia causato alcuni casi di edema polmonare. In questo caso i polmoni si riempiono di secrezioni liquide e la persona muore in agonia. “I sostenitori della morte assistita hanno il dovere nei confronti del pubblico di essere sinceri sui dettagli dell’uccisione e del morire. Le persone che vogliono morire devono sapere che potrebbero finire per affogato, non solo per addormentarsi” ha puntualizzato Zivot.
Tra i medici che negli Stati Uniti partecipano al suicidio assistito vi anche il dottor Lonny Shavelson, che ha contribuito a fondare l’American Clinicians Academy on Medical Aid in Dying, ossia un forum di medici specializzati nel suicidio assistito e nello studio di pratiche migliori per “aiutare le persone a morire”. Da questo team si è scoperto che le persone con cancro gastrointestinale, ad esempio, non assorbono nemmeno i farmaci. Similmente, gli ex consumatori di oppiacei mostrano spesso resistenza ad alcuni farmaci. I giovani e gli atleti, avendo tendenzialmente un cuore più forte riescono a sopravvivere più a lungo con bassi tassi di respirazione. “Stiamo imparando, sulla base di ciò che dice la scienza - ha affermato Shavleson in una dichiarazione choc – che il nostro compito è fermare il cuore”.
Secondo Medical Xpress, Shavelson sta copiendo un ottimo lavoro, riducendo il numero di morti lunghe e strazianti. Eppure, i dati al riguardo non sono mai stati menzionati.
D’altronde qual è il senso di cambiare la legge in modo che alcuni malati di cancro scampino a una morte “lunga, persistente e straziante” a spese altrui, che la sperimenteranno nel processo stesso di morte assistita? Poco o niente è stato scritto su questo problema.
Una revisione mirata della morte assistita in Canada (MAID) pubblicata su BMJ Open lo scorso anno ha invece rilevato che le complicazioni che possono causare disagio al paziente, alla famiglia e al fornitore potrebbero essere comuni. Per somministrazione endovenosa le complicazioni includevano difficoltà nell’ottenere o mantenere l’accesso endovenoso. Per quanto riguarda la somministrazione orale, le complicazioni includevano la durata prolungata del processo di morte e la necessità di un backup endovenoso. Nel BMJ di gennaio, un farmacista irlandese ha inoltre dichiarato che il suicidio assistito non può garantire una morte senza dolore, pacifica e dignitosa.
Tutte testimonianze, queste appena descritte, che ci fanno capire come – soprattutto in Italia – occorre la massima trasparenza su un tema così complicato. Una trasparenza necessaria per far capire all’opinione pubblica che in realtà il suicidio assistito altro non è che una sorta di roulette russa, dove la morte assistita non è per niente un’opzione compassionevole.
La morte – non ci stancheremo mai di ribadirlo - non è e non sarà mai la soluzione alla vita. Le persone che soffrono hanno bisogno di essere amate, di essere curate o comunque accompagnate, non di essere uccise.