Ora alla Camera si discute se legalizzare l’eutanasia.
Ricordiamo che il disegno di legge intitolato “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari” (da cui l’acronimo DAT), non contiene mai la parola “eutanasia”, ma in sostanza introduce proprio l’eutanasia.
E’ perciò particolarmente utile al dibattito in corso conoscere le testimonianze di quelli che sono coinvolti direttamente ( e tragicamente) nella questione.
Come Julie Morgan, 50 anni, a cui è stato detto che ha solo un paio di mesi di vita. Le sue parole, riportate da LifeNews, fanno molto riflettere.
Un tumore diffuso e aggressivo che, partito dal seno quattro anni fa, né le cure né gli interventi sono riusciti a fermare si è diffuso al midollo della colonna, ai fianchi, alle costole e ai polmoni.
Chi ha una certa età ne conosce di persone come Julie, purtroppo. Sa bene cosa passa in questi frangenti nel cuore della persona, dei familiari, degli amici. Chi ha avuto la fortuna di non conoscere alcun malato terminale può facilmente immaginare.
Nel suo paese, l’Australia, l’eutanasia è legale solo in una regione. Ma altre tre stanno discutendo proposte di legge analoghe a quella italiana. Nota la Morgan che abbiamo riconosciuto la portata della dignità umana, anche nelle carte internazionali: ma gli stessi che condannano – per esempio – la pena di morte, in nome della dignità umana, invocano leggi che consentono l’eutanasia, cioè permettono ai medici (o a un “fiduciario” del malato, come dice la proposta in esame qui da noi) di determinare chi può “legalmente” morire.
Ha detto Julie Morgan che sentire i politici che “discutono allegramente” di leggi sull’eutanasia è particolarmente irritante, nelle sue condizioni. Tutti dicono che bisogna avere “libertà di scelta” sulla propria morte, per morire “con dignità”. Ma che vuol dire morire con dignità?
Tutte le persone che parlano di questo problema, le trasmettono il messaggio che i suoi quattro anni di lotta contro la malattia – ma che sono stati quattro lunghi anni di vita, di dolore, ma anche di gioia e di speranza, di rapporti umani, di liti, di amore... – non sono stati “dignitosi”. La sua vita non è dignitosa? I testimonial pro eutanasia sono “modelli”, celebrità, con una vita apparentemente meravigliosa, molto “dignitosa”, di fronte alla quale una malata di cancro si sente una schifezza. Quelli che si sono suicidati o si sono lasciati morire vengono portati ad esempio di somma dignità... Julie, sentendo queste cose, si sente “in dovere” di chiedere l’eutanasia.
Invece lei, nei suoi 4 anni di Calvario, ha avuto la prova che la dignità è così intrinseca all’essere umano, che si esprime anche in condizioni di estrema vulnerabilità, di dolore. Anche nei momenti bui.
L’eutanasia legale, dice Julie, la spaventa.
“Taglia le gambe” a chi invece ha bisogno di energia e incoraggiamento per lottare, per difendere la propria vita: perché c’è il momento in cui uno si può sentire “uno schifo”, ma la vita non è mai una “schifezza”.
Redazione