“Più siamo, meglio stiamo” è il titolo del Primo Piano di Notizie ProVita di ottobre, in cui si parla di demografia e del “problema” della popolazione, ma non solo, di cui potete leggere qui.
Chi avesse perso il numero di ottobre, ha perso un’opportunità di riflettere in modo critico e davvero controcorrente. Per esempio perché è necessario battersi affinché venga tutelata la famiglia, quella naturale, quella che fa figli, anche a prescindere da ogni considerazione morale, solo per questioni materiali ed economico-sociali?
Nello Stato sociale, le generazioni attive pagano la previdenza (pensione sanità) alle generazioni anziane. La sostenibilità dello stato sociale dipende quindi dall’equilibrio intergenerazionale, demografico, che ormai – come abbiamo visto nelle pagine precedenti – si è eroso, mettendo a repentaglio l’intero sistema sociale.
Oggi, infatti, il costo della nuova generazione, cioè dei figli, è prevalentemente a carico delle famiglie. I benefici dei figli invece, ossia la loro capacità di mantenere le generazioni anziane attraverso i contributi previdenziali e le tasse, vanno a tutti.
Allora è nell’interesse dello Stato sociale riservare un trattamento distinto alla famiglia, cioè a quella formazione sociale in grado di procreare: infatti, gli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, sono stati approvati anche dalla sinistra comunista, oltre che dall’ala riformista dell’epoca.
Chi chiede l’equiparazione delle unioni omosessuali alla famiglia basata sul matrimonio lo motiva solitamente con il fatto che la società si sarebbe evoluta sul piano morale e dei costumi. In realtà però il riconoscimento della famiglia basata sul matrimonio, intesa come “società naturale” che precede quindi la politica e le istituzioni statali, non era e non è basato su fattori di morale sessuale, bensì sociale. Ovvero il trattamento “privilegiato” della famiglia, richiesta dalla Costituzione, ha come primario obiettivo la tutela dei più deboli, dei bambini, e, in una prospettiva politico-economica di medio-lungo termine, la sostenibilità del welfare, che presuppone equilibrio demografico.
Non è vero, perciò, che “il matrimonio gay o le unioni civili non tolgono niente alla famiglia”.
Il vero problema sta nel cambiamento della definizione di matrimonio: se esso diventa per lo Stato il “luogo degli affetti” che di per sé che non ha più niente a che fare la possibile nascita della futura generazione, lo stesso Stato si alleggerisce di parte delle sue responsabilità verso le future generazioni. Ovviamente per lo Stato è meno oneroso essere custode dell’amore dei suoi cittadini piuttosto che essere custode delle future generazioni e garante della sostenibilità dello Stato sociale. Se la reversibilità della pensione e altri benefici (per esempio il contributo all’acquisto della prima casa) sono motivati soltanto con la cura che i coniugi si prestano vicendevolmente e non più con gli oneri di cura della futura generazione, questi stessi trasferimenti perdono la loro legittimazione: le future finanziarie decurteranno ulteriormente i trasferimenti alla famiglia, tra cui in primo luogo la pensione di vedovanza. Infatti, la discussione tra i costituzionalisti sulla legittimità della reversibilità della pensione, così come degli altri trasferimenti alle coppie sposate, in alcuni di quei paesi (come la Germania) che hanno già provveduto all’equiparazione della famiglia generativa a quelle formazioni sociali a priori non feconde, è già in pieno corso.
La politica nella società capitalista degli ultimi 30 anni ha fatto sì che i figli sono diventati un bene di lusso per pochi. Il crollo demografico e l’impossibilità di mantenere il sistema pubblico e mutualistico del welfare costringeranno sempre di più a una radicale ristrutturazione del sistema previdenziale, passando da un sistema pubblico mutualistico-solidaristico a un sistema “a capitalizzazione”, lasciando ampie parti della popolazione in povertà, ma creando nuove opportunità di business per l’industria finanziaria.
È da sempre vero che non tutte le persone sposate hanno dei figli e in base a questo ragionamento i promotori del matrimonio per tutti tentano di eliminare il trattamento distintivo della famiglia rispetto alle altre formazioni di convivenza. Ma resta sempre vero che l’unica formazione sociale da cui possono nascere figli, è l’unione tra un uomo e una donna e pertanto il trattamento distinto della famiglia come richiesto dalla Costituzione, sotto un determinato profilo, è da considerarsi un investimento nel futuro. E il fatto che non ogni singolo “investimento nel futuro” effettuato dalla politica (ad esempio i contributi all’innovazione per le imprese per favorire l’occupazione) porti il risultato auspicato, non è un motivo valido per negarlo e lasciare tutto solo ai meccanismi del mercato libero.
I fautori del pari trattamento della relazione tra due persone di uguale sesso e di differente sesso, chiedono la reversibilità della pensione anche per le coppie omosessuali, motivando tale posizione con il fatto della mutua assistenza tra i partner, mentre in realtà la “giustificazione” della reversibilità della pensione è basata sul carattere “intergenerazionale” della famiglia e sul carattere generativo della coppia uomo donna.
L’incremento delle libertà individuali degli ultimi trent’anni su tutti i campi ha portato a una serie di deregolazioni che hanno generato degli effetti assai negativi (basti pensare alle bolle finanziarie più o meno frequenti) anteponendo sistematicamente l’interesse individuale a quello collettivo. La deregolazione del diritto di famiglia attraverso il matrimonio gay o la creazione di istituti nei fatti equipollenti, renderà impossibile impostare politiche in grado di invertire le politiche neo-malthusiane in essere da decenni. Le giovani donne italiane oggi statisticamente desiderano avere mediamente 2,2 figli, l’esatto numero necessario per mantenere il nostro sistema sociale, ma in realtà il sistema politico-economico gli permette di averne 1,4, pena la povertà e l’esclusione sociale, se non si adeguano alle regole dello stesso sistema capitalista.
I numeri scaturiti da più di vent’anni di matrimoni gay o unioni civili nei cosiddetti paesi avanzati, d’altro canto, hanno dimostrato che il vincolo del matrimonio non risponde a un bisogno reale delle persone LGBT. I diritti delle persone conviventi, da un lato, sono stati enormemente allargati (per visitare il partner in ospedale, per esempio, non c’è assolutamente bisogno di un’unione civile o simile. Infatti, nel Vademecum delle coppie di fatto, emesso nel 2013 dalla giunta Pisapia del Comune di Milano, sono annoverati tutti i diritti dei conviventi e le relative vie legali per garantirseli). Inoltre, l’esperienza dei paesi “più avanzati” dimostra che il numero delle coppie gay che scelgono la formalizzazione della loro relazione resta irrisorio, visto che solo una minoranza all’interno della minoranza dei gay è interessata a una scelta di tipo matrimoniale. E questa scelta, come dimostrano i numeri in Paesi come il Canada, l’Olanda e altri, è destinata a restare invariata attraverso gli anni.
Non c’è nel modo più assoluto necessità di deregolare il diritto di famiglia e di equiparare ciò che dal punto di vista della sua rilevanza sociale uguale non è.
Michael Galster
DIFENDIAMO I BAMBINI E LA FAMIGLIA DAI TENTATIVI DI
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