Il 16 luglio il direttore di Avvenire ha dedicato ad una mia breve lettera un lungo commento (si può leggere qua) per esprimere ciò che a suo giudizio divide il nostro modo di affrontare la deriva legislativa contro la famiglia naturale, l’unica riconosciuta dalla Costituzione.
Gli sono grato per questo e per tutte le volte che ospita sul suo giornale opinioni in dissenso con la linea dell’editore. Dal momento che la battaglia riguarda il fondamento della società e i punti che Tarquinio solleva sono importanti ci tengo a proporre le mie controargomentazioni.
Opposizione dura “nella società, nella cultura e nelle piazze” a qualsiasi disegno di legge volto a istituire unioni di natura famigliare diverse dal matrimonio comunque vengano chiamate, come scrivevo nella mia lettera? Oppure battaglia all’ultimo emendamento in Parlamento e dialogo ad oltranza ai massimi livelli per trovare una “via italiana” alla regolamentazione che sia capace di tutelare i diritti di tutti, compresi i bambini che hanno diritto ad un babbo e una mamma e le donne povere che hanno diritto a vivere una vita dignitosa senza dover vendere “servizi riproduttivi”? Marco Tarquinio (e con lui Avvenire) è a favore di questa seconda strada.
Tarquinio sostiene che i nostri obiettivi sono gli stessi, ma che «ancora non ci capiamo su un punto chiave»: e che cioè il processo legislativo è ormai irreversibile e che quindi un «Aventino cultural-politico accompagnato da una dura e pura contrapposizione sociale e persino di piazza» non solo non otterrebbe alcun risultato ma sarebbe addirittura dannoso, lasciando le forze favorevoli alla distruzione della famiglia libere di agire. Se nascesse una pessima legge «nessuno potrebbe dirsi “giusto” e considerarsi “salvo” perché non c’era e, comunque, non era d’accordo e, magari, ne ha dette quattro a qualche giudice e alle signore e ai signori legislatori».
Non sono d’accordo con lui per due motivi: a) in democrazia non esiste una irreversibilità dei processi legislativi, è una questione di volontà politica; b) non è affatto vero che come cittadini siamo inevitabilmente corresponsabili alla creazione di leggi ingiuste per il semplice fatto che non riusciamo ad impedirne l’approvazione.
La manifestazione del 20 giugno a Roma mi sembra che abbia mostrato con chiarezza la validità della mia prima obiezione. Un manipolo di spericolati in venti giorni ha promosso un grande momento di democrazia, pacifico e in grado di cambiare il quadro politico, se non altro riportando all’attenzione della pubblica opinione il fatto che su queste materie la società italiana è spaccata ed esiste una consistente parte del Paese che non ci sta. Nonostante l’ambigua posizione di NCD (con la coraggiosa eccezione di Giovanardi che per questo viene censurato nei salotti buoni della Cortina estiva) l’approvazione del DDL Cirinnà è rimandata al prossimo autunno e i suoi sostenitori hanno cominciato a lavorare ad emendamenti che rendano meno divisivo il provvedimento proprio sui temi cari a Piazza San Giovanni.
Pensa forse Tarquinio che le discussioni nel PD, le prese di posizione dei suoi esponenti cattolici, il “dialogo” ad alto livello, i colloqui di Monsignor Galantino per far modificare il DDL sarebbero stati possibili senza il milione di Piazza San Giovanni?
La libertà di opinione e di manifestazione è tutelata dalla Costituzione così come il voto: a volte è necessario dire di no pubblicamente e le manifestazioni autorizzate e pacifiche fanno bene alla democrazia, sono segno della partecipazione del popolo.
La richiesta di una legislazione in materia di convivenze non matrimoniali non è difesa di diritti trascurati dalla legge. Non esiste in Italia un vuoto normativo in materia. Le persone sono libere di convivere come meglio credono e la legge tutela questa libertà. E come lo stesso Avvenire ha più volte dimostrato, i conviventi (di qualsiasi sesso siano) vedono tutelati i loro diritti praticamente come i coniugi, quando addirittura non sono favoriti (ad esempio da un punto di vista fiscale). Mancano solo la possibilità di adottare e la reversibilità della pensione. Ma l’adozione non è un diritto che possa essere rivendicato dagli adulti quanto semmai dai bambini. E la reversibilità della pensione non ha senso al di fuori del riconoscimento costituzionale del valore pubblico della famiglia naturale: quella che assicura la continuità tra le generazioni in una unione stabile tra un uomo e una donna.
La rivendicazione delle unioni civili è una rivendicazione ideologica, legittima quanto si vuole, ma che può anche non essere soddisfatta dal legislatore italiano senza che la democrazia per questo subisca una qualche ferita. E la sentenza della Corte Costituzionale che auspica il riconoscimento giuridico delle unioni tra persone dello stesso sesso non può essere considerata in alcun modo un vincolo per il legislatore. Una classe politica seria ne sarebbe consapevole e censurerebbe i giudici costituzionali quando escono dai confini del loro mandato. In Italia la sovranità appartiene al popolo e non alla Corte. Questa può auspicare scelte legislative ma non ha alcun potere di “indirizzo” sul Parlamento. Sembra quasi che per Tarquinio le sentenze “creative” le facciano solo i giudici ordinari, mentre l’Alta Corte sia immune da derive ideologiche.
Puntare a non approvare alcuna legge sulle unioni civili, dunque, è legittimo oggi come nel 2007 (all’epoca del primo Family day). Non solo: come allora è un obiettivo più realistico di quanto Tarquinio vuol far credere, se si pensa a tutti i grandi problemi nei quali si dibatte il paese (una difficile ripresa, un’ondata migratoria da gestire, venti di guerra a est e nel Mediterraneo) e le difficoltà che attraversa il partito di maggioranza relativa.
Ma non si tratta solo di sfruttare un’opportunità politica, e qui vengo al secondo punto. La chiamata a correo per tutti, anche per chi non collabora e si oppone, fatta da Tarquinio è inaccettabile. E’ notizia di questi giorni che il New York Times ha pubblicato un paludato articolo per sostenere che la pedofilia è un disturbo e non un crimine. Cosa dovremmo fare se in Italia si tentasse di depenalizzare i rapporti sessuali con i bambini, ovviamente a certe condizioni? Sarebbe possibile difendere e affermare il bene (come Tarquinio sostiene si debba fare collaborando ad una equilibrata legislazione sulle convivenze non matrimoniali) collaborando ad una “via italiana alla pedofilia”? O dovremmo opporci in tutti i modi legittimi e non collaborare? E se poi venisse approvata una legge che legittima la pedofilia, dovremmo sentirci responsabili anche se abbiamo denunciato l’ingiustizia e non abbiamo collaborato?
Mi si dirà che il caso delle convivenze non matrimoniali non lede i diritti di nessuno. Ma l’esperienza di questi anni ci ha insegnato che i cosiddetti “diritti civili” si risolvono sempre nel dominio del più forte sul più debole. La triste esperienza della legge 40, che per assicurare agli adulti il “diritto al figlio” provoca oggi più morti della stessa legge 194, dovrebbe averci insegnato qualcosa. Non si voleva affatto evitare il “far west procreativo” (si diceva così all’epoca): si voleva introdurre il diritto al figlio. Anche oggi è così.
Quella che l’onorevole Paola Concia definisce la “piccola necessaria ipocrisia” del DDL Cirinnà o di altri testi che lo sostituiranno (chiamare con un altro nome quello che a tutti gli effetti è matrimonio) porta con sé il diritto all’adozione per le coppie formate da persone dello stesso sesso e il diritto all’acquisto del figlio tramite l’utero in affitto.
Al male ci si può solo opporre. Se la controparte politica vuole affermare l’ingiustizia con una legge non è possibile collaborare alla stesura di tale legge.
Perché se scegliamo di collaborare dobbiamo essere sicuri che l’esito sia uno di questi due: o riusciamo a convincerla che tale principio è sbagliato, e allora non vorrà più affermarlo e il disegno di legge cadrà; oppure riusciamo ad ingannarla, inducendola ad approvare una legge che la accontenta politicamente ma che di fatto non introduce tale principio. Pensano davvero Galantino e Tarquinio che sulle unioni civili (e tutte le loro nefaste conseguenze) sia possibile uno di questi due risultati?
Altrimenti non rimane che dire no. Dopo avere dialogato con rispetto e pazienza; dopo avere proposto tutte le possibili ragioni ed avere discusso tutte le possibili obiezioni; dopo avere verificato oltre ogni dubbio che la volontà della maggioranza è comunque avversa alla giustizia non rimane che la denuncia.
Una legge che introduce un principio ingiusto è una legge ingiusta e non è possibile renderla un po’ meno tale. Lo dice anche Tarquinio nella sua risposta: non si tratta di conseguire mali minori ma di difendere ed affermare dei beni.
Seguendo l’esempio di mio padre il mio primo gesto politico come adolescente fu quello di partecipare alla battaglia contro la legge 194. Non ero ancora nemmeno elettore: scrissi al Presidente della Repubblica chiedendogli di non firmare la legge; raccolsi le firme per il referendum; partecipai alle manifestazioni per il sì; accompagnai i maggiorenni a rappresentare il Comitato per il Sì al momento dello scrutinio. Mi opposi, non collaborai, dissi di no, come potevo. La legge 194 da allora ha legittimato l’ingiusta soppressione di milioni di bambini. Ma non in mio nome. Non mi sento “giusto” per questo né con il cuore in pace. Faccio sicuramente troppo poco per aiutare le donne in difficoltà e per convincere altri che quando si uccidono i bambini non si può parlare di democrazia. Ma del fatto che la “pessima” 194 sia una legge dello Stato non sono responsabile.
E il magnifico popolo di Piazza San Giovanni, quelli che sono potuti venire e quelli che hanno fatto il tifo da casa, non saranno responsabili del riconoscimento giuridico delle unioni non matrimoniali in Italia: quale che sia la legge che verrà approvata (SE verrà approvata).
Benedetto Rocchi
DIFENDIAMO I BAMBINI E LA FAMIGLIA DALLA LEGGE CIRINNA’