Allo stato attuale, in base alle rilevazioni effettuate per un monitoraggio dell’applicazione della legge 194, assistiamo ad una riduzione del numero assoluto delle interruzioni volontarie di gravidanza rispetto all’entrata in vigore ma, proporzionalmente, l’esecuzione di un’IVG ogni cinque nascite. La vita è dunque sempre minacciata.
Così come si rileva che il numero dei medici obiettori rispetto alla pratica abortiva è consistente, ma non tale da impedirne l’organizzazione. Il carico di aborti per medico non obiettore è limitato a 1,4 alla settimana da confrontare con il dato di 3,3 del decennio dopo il 1978, quando la legge 194 divenne pienamente applicabile.
Ogni vita è preziosa
Alcune considerazioni sono quindi possibili. In primo luogo che l’obiezione di coscienza non rappresenta un pratico impedimento della disponibilità dell’interruzione volontaria di gravidanza da parte delle strutture (purtroppo!), come invece viene affermato surrettiziamente da parte abortista. Secondariamente che la presenza di tanti obiettori sta a significare che la sensibilità dei medici verso la vita nascente è elevata, e non potrebbe essere altrimenti, tenuto conto delle conoscenze scientifiche e professionali in merito: il prodigio che si compie dal concepimento (compreso) fino alla nascita è troppo grande per non essere tutelato. Chi obietta nei confronti dell’aborto dà senso alla parte più consistente e basilare dell’ordinamento delle leggi: la dignità della persona. Infine, e in negativo, si può considerare che le richieste di aborto sono sempre tante, troppe; oggi mascherate an- che in altri modi, tra cui la cosid- detta pillola del giorno dopo e le altre metodiche farmacologiche.
Nella pratica di medico di famiglia e di psicoterapeuta mi è capitato tante volte di raccogliere lo sgomento della donna di fronte alla gravidanza non preventivata. La prima esigenza mostrata è quella di una solitudine da contenere ed è una solitudine fatta dal timore del giudizio dell’ambiente e dalla paura dell’ignoto. Spesso si tratta della paura data dal non conoscere la persona che sarà (e che già è), quale futuro la aspetti. C’è anche il timore di non essere all’altezza personalmente o di non poter condividere adeguatamente con il partner o con la famiglia un’esperienza appena iniziata. E come si succederanno gli eventi? È lo shock di fronte a qualcosa di grande e, perché tanto grande, sentito come soverchiante.
In un’epoca di relazioni diluite o assenti, sembra difficile poter creare contatti capaci di accogliere solitudine, paura, angoscia. Quasi se ne dà per scontata l’impossibilità, sia all’interno, sia all’esterno del sistema-famiglia. Talora c’è il di- sagio fisico dei sintomi, peraltro fisiologici, dell’inizio della gestazione, che si mescolano al disagio psicologico, amplificandolo.
Nell’esperienza professionale tante volte è stato semplice dare spazio alla persona e parola al suo sgomento. Solitudine, paura, angoscia, disagio sono messaggi di un io che cerca di esprimersi e cerca un dialogo con il mondo che lo circonda, che si chiede se un incontro è possibile.
È un io da accogliere così come è. Il senso dell’ignoto può essere trasformato positivamente dalla messa a disposizione di informazioni scientificamente appropriate e dall’ascolto di un racconto che la donna ha già scritto in se stessa. La fame di relazione che la società sembra incapace di soddisfare può incontrare il nutrimento del rapporto del medico con la persona che a lui si rivolge.
La scelta della vita è per la felicità
In tutto questo non hanno effetto i moralismi o i giudizi, né la contrapposizione ideologica, perché non è di solito su questo piano che può avvenire l’incontro. È invece possibile fare emergere un sentire profondo che può essere stato co- perto dalle stratificazioni di cui si parlava, superficiali o esterne.
Forse la parola-chiave è proprio semplicità, non si richiedono lunghi discorsi o spiegazioni complicate. Basta un’affermazione di valore per quello che sta avvenendo, una frase di conferma e di stima.
È capitato tante volte che la donna si sia allontanata con una decisione di scelta abortiva e sia tornata giorni dopo per comunicare con gioia l’intenzione di proseguire sulla strada della gravidanza. La felicità per la scelta a favore della vita va poi crescendo giorno per giorno e questa è la migliore premessa per una crescita affettivamente ricca del bambino che nascerà.
Quello che dovremmo avere sempre presente è che favorire la scelta per la vita è una speranza donata alla donna, che scopre e realizza nuovamente la propria femminilità, ma anche una speranza per la famiglia, attraverso la ricchezza di senso che la vita nuova vi innesta, e per la società, che, a contatto con la bellezza di una vita piena di risorse, ridefinisce in tutti i campi della convivenza il valore del rispetto per la persona.
Flavio Della Croce
Articolo pubblicato sulla rivista Notizie ProVita di aprile 2015, pp. 23-24
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