E’ uscito un libro sulla fecondazione artificiale. Piccolo, facile, chiaro fin dal titolo: “La fine della maternità”. Ce lo presenta l’autrice, Eugenia Roccella.
Ogni tecnica di fecondazione artificiale rende l’essere umano, non un frutto dell’amore, ma un prodotto di laboratorio. Lo rende una “cosa” e quindi la sua esistenza diventa “disponibile” e oggetto di un contratto. Non è un caso che la fecondazione artificiale provochi la morte della quasi totalità degli embrioni concepiti nel procedimento. A questi mali, la fecondazione eterologa ne aggiunge altri ...
C’è chi pensa che la fecondazione artificiale eterologa, effettuata cioè con gameti estranei alla coppia, sia semplicemente una modalità come un’altra della procreazione assistita. Una volta accettato che l’embrione possa essere non il frutto di un rapporto d’amore tra un uomo e una donna, ma il prodotto di una manipolazione in laboratorio, una tecnica vale l’altra. Non c’è la relazione, non c’è il calore affettivo, non ci sono i corpi: l’incontro di uno spermatozoo e di un ovocita nella provetta riecheggia la famosa e surreale frase di Lautréamont, “l’incontro fortuito su un tavolo di dissezione di una macchina da cucire e di un ombrello”.
Però le tecniche non sono tutte uguali. L’eterologa spalanca la porta al mondo nuovo, alla filiazione destrutturata e fai-da-te, al “bambino sullo scaffale”, visto cioè come un oggetto, certamente prezioso, ma reperibile sul mercato, selezionato e modellato secondo i propri desideri, e acquisito grazie a uno o più contratti. Il caso degli embrioni scambiati, avvenuto in un ospedale romano, è esemplare, e fa emergere tutte le insanabili e inquietanti contraddizioni della nuova genitorialità. Per questo abbiamo scelto di raccontarlo e di partire da quell’evento per spiegare come cambierà, come sia già cambiata, la filiazione.
Lo scambio di embrioni è una fecondazione eterologa involontaria, in cui non esiste un patto legale con cui il padre e la madre genetici cedono i propri diritti di genitori: tutte e quattro le persone coinvolte reclamano i figli come propri. Di chi sono, allora, i gemelli? Qual è la “vera” mamma, il “vero” papà? La verità è che per quanto la legge possa tentare di offrire qualche risposta, e benché tutti si affrettino a denunciare vuoti legislativi ogni volta che c’è un problema eticamente e giuridicamente complesso, spesso i problemi nati dalle nuove tecnologie sono insolubili. La legge può cercare di aggiustare la situazione, di ridurre il danno, ma a volte finisce persino per aggravare le cose.
Come è accaduto con la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che, per sanare la situazione incerta di un bimbo nato da utero in affitto (pratica illegale in Italia), ha stabilito che per il principio del maggior interesse del bambino, questi deve rimanere con chi ha instaurato con lui un rapporto di cura, a prescindere dal legame biologico, dalle modalità della nascita e dell’affidamento. Per assurdo, se io rapissi un bambino e riuscissi a tenermelo il tempo sufficiente a far nascere una relazione affettiva, poi lo potrei tenere: magari andrei in galera, sconterei una condanna, ma il bimbo ormai sarebbe “mio”. Una sorta di usucapione, che apre più problemi di quanti non ne risolva.
Ma l’elemento che caratterizza la nuova filiazione, il fatto forse più disturbante e nuovo, è la fine della maternità. Di mamma non ce n’è più una sola, ce ne possono essere fino a quattro, oppure nemmeno una; e questo rapporto che la natura ha voluto così forte, viscerale, indissolubile, fondante per ogni creatura umana, è sfilacciato e frantumato fino a diventare irrilevante, fino a dissolversi.
Da sempre ognuno di noi nasce nel corpo di una donna, e la mamma è – oltre ogni retorica – la certezza necessaria ad ogni bambino, la continuità con la sua vita prenatale, un prolungamento di sé da cui man mano impara a staccarsi, prendendo coscienza della propria identità. Nel mondo nuovo, a cui la fecondazione eterologa introduce, nessuna certezza è possibile, e la mamma è una figura labile, che può moltiplicarsi o anche scomparire. Come è scomparsa in una immagine che qualche tempo fa ha fatto il giro del mondo, la foto di un uomo a petto nudo che stringeva a sé, pelle contro pelle, un bimbo appena nato. L’uomo, emozionato, felice, aveva accanto a sé il compagno, ma nessuna donna. La donna che aveva appena partorito quel bimbo, ingaggiata probabilmente con regolare contratto, nella sequenza fotografica era già messa ai margini, espulsa. Chissà se un giorno quel bambino la cercherà, la vorrà conoscere.
Chissà come saranno i bambini nati nel mondo nuovo.
Eugenia Roccella