Una notizia Ansa del 15 dicembre scorso intitolava: «Nessun problema psichiatrico per i bambini nati in provetta». Poi però nel corpo del testo si diceva che i bambini nati da fecondazione artificiale hanno il 35% in più di probabilità di sviluppare il disturbo ossessivo compulsivo. Come se non fosse un disturbo psichiatrico.
«È quanto emerge da uno studio coordinato da ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma e pubblicato su JAMA Psychiatry», dice l'Ansa, che vorrebbe tranquillizzare quegli scienziati che sostengono che la depressione e l'ansia potrebbero essere più comuni tra i bambini "artificiali" una volta che diventano adolescenti.
La ricerca ha preso in considerazione tutti i bambini nati in provetta in Svezia tra il 1994 e il 2006 (31.565 bambini, il 2,6% di tutti i nati in quel periodo). Tenendo conto di certe variabili, l'aumento del rischio si ridurrebbe al 10%.
Il problema resta: sono avvisati i genitori di questo rischio, prima che si imbarchino nella stressante e costosa trafila - il più delle volte deludente - per avere un figlio in provetta?
Chi lo decide che il 10% ( se non addirittura il 35%) è un rischio trascurabile?
Senza contare che questo si va a sommare agli altri rischi derivanti da Fivet: difetti alla nascita, malattie rare, problemi cardiocircolatori, problemi respiratori, ipertensione in adolescenza...
Ne ho parlato diffusamente alla Scuola di Bioetica di Pro Vita & Famiglia di un paio di anni fa (chi volesse approfonfire, scriva a [email protected]).
Non solo, e non ultimo va ricordato che la fecondazione artificiale, in Italia, nel solo 2019 ha causato la morte di 171.730 bambini allo stato embrionale: una strage di proporzioni immani, sottaciuta e negata dai più perché consente guadagni stratosferici alle "fabbriche di bambini", cioè alle cliniche della fertilità il cui business, nel mondo, è calcolato intorno ai 30 miloni di dollari.
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