Le frodi nell'ambito delle cliniche per la fertilità sono all'ordine del giorno, ma ovviamente poco pubblicizzate: si rischierebbe di ridurre il gigantesco business dei figli in provetta.
Una donna di Louisville, nel Kentucky, ha scoperto di recente che il ginecologo di sua madre, il dottor Marvin Yussman, ha usato il proprio sperma per inseminarla, nel 1975 e ha scoperto di avere almeno sette fratellastri. Il dottore ha ammesso di aver inseminato le sue pazienti "circa una mezza dozzina di volte".
Questa "violazione genetica", secondo un'indagine di The Guardian non si verifica solo ingannando le donne, ma anche gli uomini. La giornalista Jenny Kleeman ha scoperto diversi casi in cui gli uomini hanno dato campioni di sperma per i test di fertilità che medici senza scrupoli hanno usato segretamente per inseminare le loro pazienti. In altre parole, il loro sperma è stato rubato.
Le storie che hanno portato alla scoperta di queste truffe sono strazianti: i figli della provetta, una volta adulti, soffrono gravi scompensi psicologici per cui hanno il bisogno di ricercare le loro origini biologiche. Quando, dopo infinite e laboriose ricerche, qualcuno di loro riesce finalmente a trovare e contattare il padre e questi nega – sinceramente – di aver mai donato lo sperma, al trauma di essere figli di non si sa chi, si aggiunge trauma di essere davvero "figli di nessuno".
Ci sono poi venditori di sperma che hanno generato centinaia di bambini, ma non hanno mai messo il loro DNA in nessun database, in modo che non possono essere rintracciati.
Insomma, la legalizzazione della fecondazione artificiale è stata invocata per porre fine al "far west" procreativo; ma evidentemente le leggi hanno fallito anche da questo punto di vista: l'ennesima conferma che ciò che è immorale fa male, non solo a chi lo subisce, ma anche a chi lo fa.
Fonte: BioEdge
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