05/02/2022 di Manuela Antonacci

Festival di Sanremo, Maria Giovanna Maglie: «La gente vede Sanremo perché non ne può più del Covid»

Il Festival di Sanremo, anche quest’anno, si è rivelato, più che la vetrina di nuovi talenti, il palco su cui si sono puntualmente recitati i soliti “copioni” Lgbt e non solo, sotto forma di improbabili monologhi. Per non parlare poi, della blasfemia andata in scena anche quest’anno, grazie al solito Achille Lauro che, a furia di siparietti di questo tipo, comincia a suo rischio e pericolo, a diventare anche scontato. Ne abbiamo parlato con la giornalista Maria Giovanna Maglie che, memore dei Sanremo che hanno fatto davvero la storia del Festival, sembra non avere dubbi in tal proposito.

Che ne pensa di questa edizione del Festival?

«Una volta c’era il Festival di Sanremo che aveva un po’ di intrattenimento, ma soprattutto canzoni, tra cui molte belle canzoni. Oggi c’è il Festival del patronato della Rai anzi, forse, il Festival del patronato del direttore di rai uno, Coletta, uno che è fissato col gender fluid, con l’ideologia LGBT, con il politicamente corretto, insomma, con la distruzione dell’Occidente. Il risultato è che nessuno dà retta alle condizioni in cui versa oggi questa manifestazione canora, nessuno se ne occupa seriamente perché quello che conta è mettere su lo spettacolo del “politically correct”. Le canzoni sono oggi, più che altro dei rumori che urtano le orecchie. I nomi dei cantanti invece, sono dei suoni gutturali: si chiamano in genere Federico, Andrea ma nel mondo del politicamente corretto bisogna chiamarsi con nomi tipo “Gugu” o “Dudu”».

Ci sono stati interventi non canori che ha apprezzato?

«Tra gli intrattenitori ho apprezzato Checco Zalone, per il resto, c’è stata la sfilata del mediocre “politically correct”, perché vede, persino lo schiaffo al cristianesimo si può dare in modo intelligente, in modo che faccia anche arrabbiare, ma prima anche un po’ ridere, invece no, è stato tutto di una tristezza totale e spiego perché. Prendiamo il monologo sul razzismo della Cesarini, non deve passare il messaggio che siccome e mezza senegalese è brava per forza. Nel suo caso ho dei sinceri dubbi sul suo talento perché il suo monologo era pieno di terribili stereotipi».

Che ne pensa di Drusilla Foer, eletta icona gay. Anche questo un tributo al politically correct?

«Nel caso di Drusilla Foer, si tratta di un attore di grande talento, ha probabilmente dovuto ricorrere al travestì che è un genere classico perché ricordiamo che una cosa è travestirsi sulla scena, altro è essere un travestito. Gli uomini travestiti, nella storia, fanno parte della tradizione della produzione teatrale e letteraria dall’inizio dei tempi. Detto questo il problema è che, dopo che Drusilla è stata molto spiritosa per tutta la serata, alla fine l’hanno obbligata a dare un senso alla sua presenza, anziché col talento, col pistolotto sulla diversità, unicità, con tanto di commozione e questo, ancora una volta, ha fatto diventare patetico nell’applicazione del politically correct, quello che poteva essere divertente, perché lei è un bravo performer»

Il gesto blasfemo di Achille Lauro ha suscitato molta indignazione, è d’accordo?

«Achille Lauro è una macchietta e possiamo metterci a fare le scommesse su dove andrà a finire, che altro si inventerà prima di salutarci e tornare ad una vita normale. Il gesto con cui si è auto battezzato è blasfemia pura, dopo la blasfemia che altro ci sarà? L’assassinio? Detto questo, il vero problema non è nemmeno Achille Lauro che per sopravvivere come cantante mediocre fa questi siparietti, ma gli organizzatori del Festival, perché qui siamo alla solita storia del cristianesimo deriso e vilipeso, ma se qualcuno osa muovere critiche su Mamhood, ad esempio, lo si lincia dandogli del razzista».

Ma da cosa dipende tutto questo?

«Alla base di tutto c’è la mancanza dell’autorato, della mancanza di professionalità, questi sono escamotage quando non sai come vuoi farlo un programma. Quando c’erano i grandi Festival, ad esempio di Carla Vistarini, una straordinaria autrice oltre che cantautrice, c’era un filo conduttore che teneva in piedi tutto, che si chiamava “autorato”, ora questo Festival, se tu lo spezzetti è fatto di tanti frammenti, fini a sé stessi e tutti noiosi».

Eppure si parla di record di ascolti…

«Perché la gente che si è imbruttita in questi anni di pandemia, pur di non sentir parlare di covid o Quirinale, è pronta a vedere qualunque spettacolo scadente»

 

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