Di cosa ha bisogno ogni uomo? Essendo fatti di anima e di corpo, in stretta e inscindibile relazione tra loro, abbiamo tutti bisogno sia di nutrimento biologico sia di nutrimento spirituale. Non di uno solo. E viviamo ogni esperienza con il corpo e lo spirito, insieme.
Questo non solo da adulti: sin da bambini. Scrive il celebre ginecologo [assolutamente “laico” e progressista, ndR] Carlo Flamigni parlando della vita fisica e psichica del feto umano di pochi mesi: “Lontano dall’essere un ospite inerte, il feto svolge un ruolo attivo nell’andamento della gravidanza, controlla vari aspetti del suo sviluppo ed è capace di rispondere a vari stimoli uditivi, visivi e tattili provenienti dall’ambiente esterno. Alcuni psicologi parlano di ‘personalità’ del feto prima della nascita.
Queste supposizioni sono confortate da vari racconti di individui in ipnosi che hanno ricordato esperienze vissute nel periodo prenatale o l’esperienza della nascita.
In base quindi al presupposto che il feto possa essere cosciente, consapevole e capace di memoria, è anche stato ipotizzato che le esperienze che vive durante il periodo prenatale possano influire sullo sviluppo della sua emotività e sulla sua mente. Vari studi hanno dimostrato che l’attitudine della madre verso il feto ha un forte impatto sulla salute sia fisica che psichica del nascituro. I bambini nati da madri ‘ambivalenti’, cioè con difficoltà ad accettare la gravidanza anche se apparentemente felici, presentano spesso problemi comportamentali e somatici… le cosiddette ‘cool mothers’, madri cioè che per problemi di carriera o finanziari non vogliono una gravidanza, hanno più spesso figli inizialmente letargici e apatici. Il bambino prima della nascita è strettamente legato alle esperienze fisiche, mentali ed emotive della madre” (Avere un bambino, Mondadori).
Il celebre ginecologo Pino Noia, insieme ad altri autori, ricorda che “è ormai accertato che il feto risenta degli stati d’animo materni”, attraverso la percezione di mutazioni di tono di voce, attività fisica e frequenza cardiaca della madre. Egli ha bisogno non solo di nutrimento biologico, ma anche di “nutrimento psichico”. Analogamente il neonatologo di fama mondiale, Carlo Bellieni, dell’Università di Siena, ricorda che la risposta al dolore del feto non può essere soddisfatta solo da un farmaco: “la persona che soffre, e così il neonato, ha bisogno di una presenza umana per consolarlo e aiutarlo” (Noia et al., Il dolore feto neonatale, Ginecorama, ottobre 2011, n.5; Carlo Bellieni, L’alba dell’io. Dolore, desideri, sogno, memoria del feto, Società editrice fiorentina, 2004);
Se dunque un bambino crea una relazione fisica e psichica con la madre, già nell’utero, ciò non dimostra a sufficienza che di quella madre egli è figlio, sia materialmente che spiritualmente? Che toglierlo alla madre significa recidere un legame psichico e fisico, e non solo spostare una creatura da un contenitore ad un altro, come si fa con il caffè?
Se una donna non può mai essere un puro contenitore, perché ogni esperienza corporale ha un corrispettivo spirituale (quale donna ha vissuto la gravidanza solo come un fatto meramente corporeo?); se il legame del corpo del bambino con quello materno non esaurisce il rapporto del bambino con la madre, è difficile capire che la maternità surrogata è una ferita profonda sia per la donna che per il bambino?
E’ difficile capire che un bambino ha bisogno del padre e della madre; di più: di essere frutto dell’amore spirituale e corporale, nella sua unità veramente generatrice, dei suoi genitori?
Francesco Agnoli
Fonte: Libertà e Persona
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