«Basta propaganda gender a reti unificate». È stato un messaggio forte e chiaro, quello scandito venerdì nel corso delle due manifestazioni – flashmob di Pro Vita & Famiglia, una a Milano, l’altra a Roma a viale Mazzini, davanti alla sede della Rai. Questa seconda manifestazione, simbolicamente più rilevante ed anche più partecipata, è stata anche l’occasione per consegnare ai vertici dell’emittente di Stato oltre 100.000 firme, raccolte in pochi giorni, contro appunto l’indottrinamento Lgbt che, per la verità da tempo, mamma Rai sta portando avanti a scapito sia dei contribuenti, ai quali viene chiesto di versare il canone – e non di tesserarsi informalmente ad Arcigay -, sia dei più piccoli, che vengono esposti a messaggi quanto meno di parte.
Su questo, è risultato molto chiaro l’intervento tenuto in viale Mazzini da Maria Rachele Ruiu, esponente e membro del consiglio direttivo di Pro Vita & Famiglia. «Noi non invochiamo alcuna censura», ha spiegato l’attivista pro family, «noi siamo qui in rappresentanza di oltre 100.000 cittadini per chiedere che la Rai - se deve affrontare temi eticamente sensibili - lo faccia in modo libero, serio, dando sempre voce a tutte le prospettive antropologiche, valoriali e scientifiche. Chiediamo insomma una Rai libera dal pensiero unico e sia libera anche, quando sbaglia, di chiedere scusa». A seguire, sono intervenuti vari esponenti del mondo politico: Baldassarre, Malan, Politi, Colosimo, Giannini, Cerquoni e Gasparri.
Quest’ultimo, esponente di Forza Italia, ha spiegato di aver depositato – a seguito dalla propaganda gender vistasi in occasione dell’ultimo festival di Sanremo – una interrogazione in Commissione di vigilanza Rai, ottenendo sì una risposta, ma estremamente burocratese e deludente. Quasi è dire, con tortuosi giri di parole, tutto va bene, Madama la Marchesa. Assai interessante è stato anche l’intervento di una donna musulmana – la sciita Hanieh Tarkian -, la quale ha ricordato l’importanza del rispetto dell’identità religiosa cristiana dell’Italia, che non merita di essere umiliata da nessun tipo di blasfemia o propaganda di sorta. Il flashmob, conclusosi con la consegna delle citate 100.000 e passa firme, ha visto la partecipazione di varie decine di manifestanti ed avrebbe senza dubbio meritato maggiore copertura mediatica.
Tuttavia, si può senza dubbio ritenere un successo. Per più motivi. Tanto per cominciare perché l’evento ha avuto luogo senza disordini né assembramenti: cosa per nulla banale, anzi, vista la perdurante pandemia. In secondo luogo perché, a differenza di quanto chiedono i militanti Lgbt – che con il ddl Zan vorrebbero mettere il bavaglio a tutti quanti – è stata una manifestazione non contro qualcuno bensì per qualcosa, peraltro per qualcosa di molto importante com’è la libertà di pensiero. Infine, il flashmob si può considerare ben riuscito anche in considerazione del fatto che ha saputo esprimersi attraverso una pluralità di voci politiche, religiose e di genere. Apparentemente banale, quest’ultimo è in realtà l’aspetto forse più rilevante.
Sì, perché non è un segreto per nessuno il lavorio mediatico e culturale volto a far passare il pro family come un sentimento ormai caro solo ad oscurantisti, possibilmente maschi, conservatori e facili alle mani, che vogliono imporre il loro credo. Ebbene, un flashmob come quello di Pro Vita & Famiglia – con rappresentanze politiche di varie forze, una vasta rappresentanza femminile e gente di più confessioni – demolisce completamente questo falso mito; e, nel farlo, richiama l’attenzione su un valore a sua volta laicissimo com’è quello della libertà di pensiero, ossia del confronto tra voci diverse, del dialogo. Tutte cose che, fino all’altro ieri, sembrano stava a cuore pure ad una cultura dominante che però, gettata la maschera, si rivela ogni giorno di più per quello che è: un volgare indottrinamento.
Finché però ci saranno manifestazioni come quelle di venerdì, possiamo però stare relativamente tranquilli; perché esse stanno a dimostrare che c’è ancora tanta gente che non solo «non se la beve», ma è anche disposta a metterci la faccia, per testimoniare e difendere una libertà di pensiero che a parole accomuna tutti mentre, nei fatti, c’è chi è al lavoro per ridurla in modo drastico; e lo fa, paradossalmente, in nome della «tolleranza» e dell’«inclusion